Per chi oggi ha tra i venti e i quarant'anni nel nostro Paese, cioè per chi sta crescendo o è cresciuto sul ciglio del disastro, c'è qualcosa di insopportabile nella ormai già famigerata lettera che il Gruppo di Firenze dei seicento docenti universitari ha inviato alle autorità italiane. Obiettivo: puntare l'indice sulle mediocri competenze grammaticali degli studenti. La scoperta dell'acqua calda, verrebbe da dire. Perciò sembra assurdo che una simile denuncia arrivi solo oggi, quando è evidente a tutti che la battaglia è stata persa tempo addietro. Come ha scritto ieri Annamaria Testa su Internazionale, riportando le dichiarazioni di Gianni Peresson, responsabile dell’ufficio studi di Aie (Associazione Italiana Editori) per commentare gli ultimi dati sulla lettura nel 2016:
La grande battaglia per la lettura in Italia è stata persa tra gli anni ottanta e i novanta, quando si è rinunciato a contrastare l’espansione televisiva creando un sistema di pubblica lettura in molte regioni.
Ma a chi importerebbe il clamoroso ritardo con cui arriva questa denuncia se ci fosse, nel sopracitato appello, una visione in grado di orientare i governi a operare scelte future sensate nel settore dell'istruzione e della formazione? E invece niente di tutto ciò è rintracciabile nelle raccomandazioni degli accademici al "governo della scuola". Mentre c'è, e molto, di insopportabile. Come il fatto che gli estensori di questo documento siano, fondamentalmente, un gruppo di uomini e donne che ha trascorso al calduccio quasi o tutta l'esistenza da illustri docenti, al centro di quel sistema universitario di stampo medievale così ramificato nel nostro Paese, zeppo di baronati, nepotismi, valvassori e satrapi di ogni genere, che ha inciso non poco sul disastro italiano attuale.
Eppure l'aspetto più intollerabile, nella lettera, è il retropensiero, lo spirito classista insito nel richiamo alla valutazione, alla riproposizione poliziesca di una pedagogia stantia, in nome di una formazione che sia, innanzitutto, selettiva. Altro che don Milani! C'è invece, leggendo con attenzione l'appello, una voglia di repressione nei confronti di quest'incresciosa situazione della grammatica tra la plebaglia studentesca e, più in generale, nei confronti dei giovani, come non si vedeva da tempo.
Non uno straccio di analisi delle ragioni che ci hanno condotto nel baratro, non uno straccio di autocritica sulle condizioni dell'università (dove oggi gli studenti non scrivono più e in cui, al massimo, sono tenuti ad apporre segni grafici sui quiz) o mea culpa rispetto all'appoggio indiscriminato fornito da molti di questi prestigiosi intellettuali ai governi che hanno massacrato la scuola pubblica, che hanno fatto della cultura un colabrodo istituzionale in cui distribuire prebende, che hanno tagliato i fondi alle biblioteche, che hanno assistito inermi mentre le librerie chiudevano in nome del libero mercato, che non hanno alzato un dito mentre il settore editoriale andava allo sfascio, che hanno parlato di meritocrazia senza praticarla, che hanno affossato i giovani del nostro Paese in ogni modo possibile…
Infine, un'ultima annotazione che spero possa esser colta al di là dell'aspetto estetico: la lettera dei 600 prof è stata pubblicata su un blog di rara bruttezza, un luogo dell'internet dal template scialbo e con un'impaginazione degna dei primi scarabocchi alla scuola dell'infanzia. A dimostrazione ulteriore che questi signori non hanno capito nulla del mondo che li circonda e che loro vorrebbero emendare.