La reunion degli Oasis, un’operazione milionaria che forse metterà fine all’era della nostalgia
La reunion degli Oasis era solo questione di tempo. Quando si sono sciolti, nel 2009, erano una band senza più niente da dire e, fan a parte, la loro assenza non aveva tolto niente alla musica pop e rock. Un triste finale di partita per quello che è, a conti fatti, l’ultimo gruppo musicale veramente generazionale e collettivo (quel fenomeno per cui al di là del gradimento, le canzoni riescono a parlare a tantissime persone in un determinato periodo storico riuscendo a diventare racconto collettivo). Seguono tre lustri di onesto praticantato più o meno riuscito.
Noel e Liam Gallagher dopo lo scioglimento degli Oasis
Dopo lo scioglimento, Noel Gallagher partiva in vantaggio (sue le canzoni, suo il talento compositivo, sua la curiosità verso altre forme musicali) e ha gestito abbastanza bene una carriera solista con i suoi High Flying Birds senza però picchi davvero significativi. Liam Gallagher, forse l’ultimo dei grandi frotman rock, ha fatto diversi passaggi a vuoto – prima coi Beady Eye (sfortunato chi se li ricorda), poi con qualche dimenticabile disco a suo nome – fino a imbroccare qualche grande pezzo come Once, diventare un personaggio pubblico simpatico e sfruttare pienamente l’effetto nostalgia arrivando nel 2022 a riempire due volte la gigantesca spianata di Knebworth, proprio lì dove gli Oasis nel 1996 dichiararano al mondo di essere i più grandi se non di sempre, per lo meno del loro tempo raccogliendo in due concerti memorabili mezzo milione di persone.
La nostalgia al quadrato del ritorno degli Oasis
La reunion degli Oasis arriverà nel momento più propizio dal punto di vista commerciale: il trentennale di (What’s the Story) Morning Glory. Il loro disco più famoso. Quello con le canzoni diventate meme. Quello che ha venduto, in diretta, 22 milioni di copie. Se deve essere, deve essere così. E da una reunion degli Oasis non possiamo aspettarci altro che una celebrazione totale in cui l’aspetto nostalgico prevale su qualsiasi aspetto artistico. Il portato simbolico e stilistico della reunion degli Oasis (gruppo nostalgico per definizione, per sempre incatenato nell’ethos e nello spirito degli anni Novanta come un ChatGPT del pop inglese di ogni tempo grazie alla miscela di Beatles, Jam, Stones, Slade e Stone Roses) potrebbe essere addirittura il punto d’arrivo massimo della nostalgia: una nostalgia al quadrato.
Quanto potrebbe fruttare la reunion degli Oasis
Quando sono uscite le prime date dei loro concerti in Inghilterra, Scozia e Irlanda (cui se ne sono aggiunte altre tre nei giorni successivi) le speculazioni sull’aspetto economico hanno cominciato a prendere piede. Chi si chiede quanti organi o proprietà immobiliari dovrà vendere per acquistare i biglietti. E chi, invece, come il professor Jonathan Shailt, presidente di InterTalent, ha calcolato il valore della reunion in circa 400 milioni di sterline (una delle più remunerative di sempre) e un ritorno per Liam e Noel Gallagher di circa 50 milioni di sterline a testa. Un bell’affare, non c’è che dire.
Sappiamo come da decenni la nostalgia sia il più grande carburante dell’industria creativa. Dal cinema alle serie passando per la musica, sembra di vivere nell’eterno ritorno della nostra adolescenza irrisolta. Dall’ennesima riprosizione dei franchise e degli eroi con cui siamo cresciuti, ai nuovi racconti che saccheggiano pienamente l’immaginario di un’altra epoca. Per non dire delle canzoni che parlano di tempi perduti e di amori passati. E artisti che ogni anno tirano fuori deluxe edition dei loro dischi storici e anche dei dischi che storici non sono con b-side, outtake, brani speciali… come scrisse profeticamente nel 2011 il critico e teorico musicale inglese Simon Reynolds in apertura di Retromania: «È così che finisce il pop: non con il bang del colpo di grazia, ma con un cofanetto il cui quarto disco non trovi la forza di infilare nel lettore cd, o con il costosissimo biglietto per assistere alla riesecuzione traccia per traccia di quell’album dei Pixies o dei Pavement che hai ascoltato fino alla nausea durante il primo anno di università.»
La nostalgia al quadrato
Tornando agli Oasis: si stima che il solo streaming di Wonderwall (canzone ormai meme a se stante nel bene e nel male) frutti ai fratelli Gallagher circa un milione di sterline l’anno. Che il brand Oasis sia estremamente redditizio lo sanno tutti. La cosa interessante sarà vedere la conformazione del pubblico, perché nonostante tutto, questa reunion è indirizzata principalmente a chi c’era. Non è una reunion per conoscere una nuova band – penso all’epoca in cui le reunion erano diventate l’unico modo per conoscere gruppi indie storici che avevi solo sentito nominare: tipo Dinosaur Jr. e Pixies – ma punta sul nuovo potere d’acquisto di chi negli anni Novanta aveva dieci-vent’anni e che adesso, come nei divertenti reel su Instagram e TikTok in cui si vedono ragazzi connotati come working class inglese tirare fuori parka, cappelli da pescatore, sneaker adidas e tornare a camminare con il passo di Liam Gallagher alla notizia della reunion, possono una volta per tutte rivivere il tempo della loro adolescenza anche più volte. Un’eterna giovinezza venduta a centinaia di sterline.
La reunion degli Oasis è forse anche un passaggio doveroso per mettere la parola ‘fine’ alla nostalgia come genere da cui l’industria culturale estrae (tantissimo) valore. Stiamo assistendo al momento apicale di questo fenomeno che dura da almeno due decenni – per quanto un certo tasso di nostalgia sia connaturato alla musica pop – e questo potrebbe portare al suo esaurimento. Il massimo del godimento, il massimo della consolazione, il massimo della felicità per cui poi non resta più niente e a quel punto si potrebbe forse provare a costruire qualcos’altro. Anche nella muscia pop. In attesa della reunion dei Coldplay fra quindici anni.