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Opinioni

La Repubblica che dimenticò i suoi soldati

In “Combattenti, sbandati, prigionieri” la storica Gabriella Gribaudi riporta alla luce le memorie dei reduci della seconda guerra mondiale traditi prima dal fascismo, poi dai governi nati dopo il 2 giugno, di cui oggi ricorre la settantesima Festa della Repubblica.
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Truppe britanniche durante la Campagna d'Italia del 1943.
Truppe britanniche durante la Campagna d'Italia del 1943.

Tra il 1995 e il 1998, durante uno dei corsi di Storia Contemporanea che tiene alla Federico II di Napoli, Gabriella Gribaudi ha raccolto con il contributo dei suoi allievi un prezioso fondo di memorie orali che costituiscono il fulcro di questo volume, da poco uscito in libreria, dal titolo “Combattenti, sbandati e prigionieri. Esperienze e memorie di reduci della seconda guerra mondiale” (Donzelli Editore, pp. 235, euro 28). Un interessante mosaico di storie di soldati, dapprima spediti dal regime fascista a combattere sui diversi fronti, dall’Africa alla Russia, che dall’8 settembre in poi si sono ritrovati a vivere da sbandati e a combattere la lotta per sopravvivenza da comuni civili, dimenticati delle nascenti istituzioni repubblicane.

Un atto di rimozione che – è questa la tesi contenuta nel volume – aveva precise motivazioni storiche e politiche.

"Dal 1940 al 1943 l’Italia aveva combattuto la guerra accanto ai nazisti e contro gli Alleati" – ci dice Gabriella Gribaudi. "Aveva perso. Ciò rappresentava un enorme problema al tavolo della pace, quindi risultava utile, anche diplomaticamente, puntare sulla memoria della Resistenza. Bisognava far passare il principio che gli italiani avevano abbandonato Mussolini, che il fascismo era stata un’impresa a cui il popolo aveva partecipato malvolentieri e che alla prima occasione lo aveva dimostrato combattendo per la libertà".

Cosa che è vera, perché abbiamo avuto la Resistenza.

Verissima. Circa trecentocinquantamila partigiani hanno combattuto per liberare l’Italia dall’occupazione nazista. Però quella era solo una parte della popolazione. E della storia. Restava, infatti, oltre un milione di soldati disperso sui vari fronti. Erano militari sconfitti, la cui storia non era quella del combattente partigiano, e ciò fu in parte dimenticato.

Chi erano queste persone e dove si trovavano al momento della proclamazione della Repubblica?

Una grossa parte, tra le seicentomila e le settecentomila unità, era in mano agli inglesi. Ce n’erano molti negli Stati Uniti, in Russia, altri in India e in Africa. C’è da dire che il governo repubblicano reclamò sin da subito assai flebilmente la loro presenza, ciò era dovuto al fatto che l’economia italiana era stata distrutta dalla guerra. Non c’era lavoro, quindi la presenza dei reduci avrebbe rappresentato un problema in più da gestire. Intanto alle forze straniere, soprattutto agli inglesi, faceva comodo impiegare gli ex prigionieri come forza lavoro, in particolare nel settore agricolo. Molti reduci torneranno in Italia tra il ’46 e il ‘47, quando la Repubblica era già stata proclamata. E infatti nelle memorie che abbiamo raccolto ritorna come un mantra la frase: “La Repubblica è stata fatta senza di noi”.

Come reagiranno una volta tornati a casa?

La maggior parte di essi apparteneva alla leva dei primi anni '20, quindi era abbastanza giovane per adattarsi al cambiamento. Alcuni la prenderanno bene, perché già durante la prigionia avevano abbandonato il fascismo e capito di essere stati condotti in un’avventura rovinosa. Altri invece non accetteranno la sconfitta e non collaboreranno. La situazione dei reduci era di totale spaesamento. E poi bisogna considerare che alcuni tornavano in Italia dopo dieci anni di lontananza. In molti, infatti, erano partiti sin dal '37 per la spedizione di Etiopia e da allora non avevano più messo piede a casa. Al loro rientro si troveranno davanti un paese profondamente cambiato. Non c’è più il duce, non c’è più il re, i figli sono diventati grandi. E poi, soprattutto, non c’è lavoro. Presto, infatti, cominceranno le proteste.

Dai racconti presenti nel volume emerge un quadro poco omogeneo sul ruolo dei militari italiani dopo la caduta del fascismo.

La condizione dei militari italiani nella seconda guerra mondiale è sempre stata diversa dalle altre, come quella dei soldati francesi, ad esempio, che sono stati tutti catturati dai tedeschi. Gli italiani, invece, sono finiti prigionieri prima degli inglesi, poi degli americani, dei sovietici, infine dei nazisti. Erano amici e nemici di tutti allo stesso tempo.

C’è un motivo per cui queste memorie sono state “scongelate” solo negli anni novanta?

La maggior parte sono uscite allo scoperto con la fine della guerra fredda, fino ad allora l’indagine storica è rimasta ingabbiata dalla dicotomia fascismo-antifascismo, comunismo-anticomunismo. Con la disgregazione del blocco sovietico, invece, si è aperto un nuovo ambito di ricerca. Nei paesi dell’Est si è iniziato a capire qualcosa in più dell’Armata Rossa, del suo ruolo di forza liberatrice, ma con parecchi aspetti oscuri al suo interno, come la violenza sulle donne e sui bambini. Allo stesso tempo, in Italia, accanto alla storia già nota dei grandi bombardamenti Alleati e degli eccidi e delle rappresaglie tedesche, adesso sappiamo anche delle violenze commesse dalle forze di liberazione, come gli stupri nel basso Lazio da parte del corpo di spedizione francese. Tutte queste vicende definiscono un quadro più complesso di quello che abbiamo avuto fino alla fine degli anni Ottanta.

In passato lei ha riportato le memorie della seconda guerra mondiale dal punto di vista dei civili nel volume “Guerra totale”. Come mai stavolta ha deciso di lavorare con le storie dei militari?

Quando si parla di soldati, soprattutto negli ultimi anni, si fa sempre una gran retorica. Anche quest’anno, ad esempio, se n’è fatta molta. Per non parlare delle celebrazioni in occasione della Grande Guerra che hanno ancora una volta riproposto l’immagine convenzionale del combattente di inizio secolo. Rispetto ai reduci della seconda guerra mondiale, invece, ho ritenuto di dare alle stampe queste memorie per contribuire a una rappresentazione il più completa possibile delle storie che poi fanno la Storia.

E cosa ci dicono queste storie oggi nella settantesima Festa della Repubblica?

Fondamentalmente che la Repubblica nasce da una vicenda molto più complicata di come l’abbiamo conosciuta in passato. Nasce da una vastità di esperienze vissute dagli italiani estremamente diverse tra loro, il che ci spiega anche come mai una parte del paese il 2 giugno votò per conservare la monarchia. E infine, se posso dirlo, ci ammonisce a raccontare sempre la Storia con i chiaroscuri, non solo attraverso il bianco e il nero.

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Scrittore, sceneggiatore, giornalista. Nato a Napoli nel 1979. Il suo ultimo romanzo è "Le creature" (Rizzoli). Collabora con diverse riviste e quotidiani, è redattore della trasmissione Zazà su Rai Radio 3.
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