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La polemica su Gomorra non è una fiction

Sin dal lancio della serie televisiva si è scatenato un botta e risposta tra i contestatori e Roberto Saviano che ha spinto alla mobilitazione centinaia di cittadini di Scampia. Ma dietro la polemica si intravede una domanda inevasa: viene prima Gomorra o Napoli?
A cura di Marcello Ravveduto
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A quasi otto anni dall’uscita di Gomorra qualcosa è cambiato. Per la prima volta sta montando la polemica contro l’autore del best seller. Un botta e risposta a distanza originato dalla messa in onda della serie televisiva. Gli oppositori chiedono di raccontare la vera Scampia, quella dell’onestà e del lavoro. La risposta di Saviano non si è fatta attendere: la camorra comanda ancora il quartiere e, dunque, è necessario raccontarla.

Dopo la prima puntata Peppe Lanzetta ha scritto una lettera aperta in cui si accusa lo scrittore di essersi fatto catturare dal sistema (quello dello showbiz) che lo ha trasformato da punto di riferimento civile in macchina da soldi priva di qualità artistica.

Luciana Libero, giornalista esperta di teatro, lo ha rintuzzato: Gomorra è il frutto di una lunga narrazione sui mali della periferia napoletana cominciata negli anni Ottanta proprio con il Bronx napoletano di Peppe Lanzetta. La giornalista, inoltre, ha esaltato la scrittura di Saviano riconoscendogli l’invenzione di un genere letterario immortale e di successo alla pari del western.

Amedeo Lepore, già Procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, in un’assemblea pubblica all’auditorium di Scampia ha affermato che la fiction è sbagliata perché mostra strumentalmente vicende di dieci anni fa. Saviano, però, insiste: «A Scampia è aumentata la presenza militare dell’attività camorristica… Il marchio non viene dato da una serie televisiva che racconta i meccanismi della realtà, così come non la toglie l’omertà a cui si invita».

Poi si viene a sapere che i genitori di una scolaresca di Bolzano, dopo aver visto la fiction, impediscono ai figli di realizzare una gita d’istruzione presso il bene confiscato, a Chiaiano, intitolato ad Amato Lamberti.

Il gestore del bene, Ciro Corona, reagisce su Facebook con un sonoro «Vaffanculo» indirizzato allo scrittore.

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Nel frattempo Alfredo Giacometti, grafico pubblicitario realizza e affigge un manifesto antifiction.

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Saviano non demorde e ritorna sull’argomento: la notizia di Bolzano è una bufala. Inoltre aggiunge: «Questa smentita conferma che si trattava del solito fango e della cattiva – e facile – abitudine di attribuire a chi racconta responsabilità che non ha. Ma la cosa interessante è che chi diffonde queste menzogne sostiene anche che il clan Di Lauro, nei territori raccontati da Gomorra, non comanda da oltre dieci anni».

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Questa volta la risposta è una manifestazione di massa che ha il sapore della festa popolare anti Gomorra: la gente perbene del quartiere scende in strada per confermare che Scampia è cambiata. Ciro Corona, ancora su Facebook, ribatte alla dichiarazione dello scrittore: «…smettila! è cambiato il vento! se tu seguissi le realtà prima di volerla raccontare sapresti anche del lavoro "di rete" che c'è dietro a questa operazione. Qualcuno ha detto che non bisogna raccontare i Di Lauro? abbiamo detto che non hanno + l'egemonia di 10 anni fa! OGNI TANTO ACCETTA UN CONFRONTO E LASCIA STARE I MONOLOGHI PRIMA DI SPARARE FALSE NOTIZIE».

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Ho ricostruito la polemica (che probabilmente continuerà) per dimostrare come la fiction sia un aspetto secondario della disputa in atto. Qui è in gioco il dominio di un paradigma interpretativo, ovvero il rovesciamento del punto di vista: qual è l’immagine di Napoli? Viene prima Gomorra o la città? Non v’è dubbio che, nel cortocircuito reale/immaginario, Napoli sia Gomorra.

Se prima le cartoline della metropoli erano il sole, il mare, il mandolino, la pizza, il Vesuvio e Pulcinella ora sono le Vele, le faide, la munnezza e la Terra dei fuochi. Il folklore nel XXI secolo si chiama Gomorra. È contro questa nuova rappresentazione stereotipata che si è scatenata la battaglia: da una parte la star, e il portato del suo carisma sofferente, dall’altra i cittadini ridotti, dalla vulgata mediatica, a sudditi della camorra.

I tempi cambiano: in passato chi contestava lo stereotipo de “‘o paese do’ sole” era considerato un innovatore culturale dalle venature progressiste, oggi chi si oppone al folklore di Gomorra è accusato di conservatorismo e collateralismo omertoso, oltre ad essere strumento docile dell’ubiqua macchina del fango.

Il paradigma Gomorra ha modernizzato il tradizionale racconto della mala Napoli adeguandolo alle esigenze della società dello spettacolo e alle leggi del mercato editoriale. Ma soprattutto, purtroppo di questo non si discute, l’assolutizzazione del paradigma ha assunto una vita autonoma che è sfuggita al controllo autoriale di Saviano, Garrone e Sollima. Gli interventi piccati dello scrittore sono l’evidente tentativo di difendere la sua creatura dalla reazione inferocita di masse tumultuose che rischiano di travolgere Frankenstein e il suo creatore, decretandone la morte mediatica, almeno in patria.

La rivolta contro il paradigma è anche figlia della rivoluzione digitale. Nell’era dei media broadcast Palermo e Corleone erano la rappresentazione del cancro mafioso e nessuna voce si levava contro quelle narrazioni maledette per due semplici motivi: o non si avevano gli strumenti tecnici per controbattere o bastava ignorarle per non farle esistere. Tutto era nelle mani dell’emittenza unidirezionale. Oggi un vaffanculo sbattuto in rete ha mobilitato un certo numero di persone contro un prodotto culturale che ha sancito la superiorità dell’immaginario sulla realtà.

Per quanto riguarda la fiction va sottolineato che è di indubbia qualità artistica ed è pienamente consonante ai canoni televisivi dei format americani. Sullo sfondo c’è Scampia ma ci sarebbe potuto essere un barrio di Ciudad Juarez in Messico, di Bogotà in Colombia o un ghetto di Chicago, Los Angeles e New York negli Usa.

In tutte queste realtà la droga e le faide tra bande di narcotrafficanti e pusher sono il mainstream narrativo la cui colonna sonora sono il rap e il corrido così come lo sono i neomelodici a Napoli. Ciò di cui non ci rendiamo conto è che il racconto di simili vicissitudini provoca da un lato paura (o panico morale) e dall’altro indignazione conquistando, proprio per questo, l’attenzione del pubblico.

La serie televisiva di Sollima sarà sicuramente venduta all’estero perché Gomorra è la cartolina della Napoli globalizzata.

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