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La pioggia di Napoli bagna l’ultimo libro di Longo: “Uso la malavita per parlare della borghesia”

Si chiama “Solo la pioggia” il nuovo romanzo di Andrej Longo, scrittore ischitano che esordisce in Sellerio. In questo romanzo lo scrittore racconta una cena di tre fratelli, imprenditori edili e appartenenti alla famiglia più temuta della città: tra segreti e confidenze, sotto una pioggia incessante, nel giro di poche ore, la loro vita cambierà per sempre.
A cura di Francesco Raiola
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"E chiove, chiove ca dio s'è scurdato" cantavano gli Almamegretta in "Pe' dint' ‘e viche addo' nun trase ‘o mare" canzone contenuta in "Sanacore", album di riferimento per la musica italiana degli anni '90. Un'espressione che calza a pennello anche per descrivere proprio una delle protagoniste di "Solo la pioggia", ultimo libro di Andrej Longo, scrittore di Ischia che da poco è passato da Adelphi a Sellerio e lo ha fatto esordendo con questo romanzo breve e con la riedizione di "Chi ha ucciso Sarah?", in un percorso che porterà anche alla ripubblicazione dei suoi altri libri. E "Sotto la pioggia" è un fulmine – per restare nello stesso campo semantico – che in un tempo breve dipana un mondo.

Carmine, Papele e Ivano sono tre fratelli (i fratelli Corona) che ogni anni si incontrano sulla tomba del padre e dopo averlo ricordato vanno a cena da soli, senza le rispettive famiglia. I tre fratelli appartengono alla famiglia malavitosa più influente del paese (oltre a essere imprenditori edili) e Longo li disegna con caratteristiche ben precise: c'è quello che vuole entrare in Politica, la mente, il più grande dei tre, c'è poi quello che picchia, il secondo, e infine c'è il più piccolo, quello che ha studiato, ma che comincia a sentirsi stretto in quella vita. Quella che doveva essere una semplice cena tra fratelli, però, diventa altro, un confronto di vita e morte la cui tensione Longo riesce a tenere sempre alta anche grazie alla costruzione perfetta dei dialoghi e di piccole accortezze come la scelta del punto di vista del narratore, i flashback o espedienti come le continue chiamate della moglie di Papele, a parte, ovviamente la colonna sonora fatta dallo scroscio della pioggia e il rumore dei tuoni.

Come nasce l’idea di “Solo la pioggia”?

Le idee (le mie, intendo) nascono d’improvviso. Ma non sono mai compiute, piuttosto sono brandelli di storie, il cui significato viene alla luce durante la scrittura. Qui inizialmente c’era solo un appunto che conservavo da qualche anno in un quaderno: Tre fratelli, di cui uno vuole lasciare il paese…

È un romanzo che si svolge per la maggior parte in un unico ambiente. Quanto il suo lavoro nel teatro l’ha aiutata a costruire questa storia?

Oltre all’unità di luogo, c’è soprattutto l’unità di tempo, poiché la storia dura all’incirca undici ore. Mi sono detto che una storia che durava così poche ore, aveva bisogno di uno spazio circoscritto: niente dispersione, niente distrazioni, niente di superfluo. Mi bastava una stanza, in cui chiudere dentro i tre protagonisti e poi rimanere a guardare quel che succedeva.

Ovviamente tenendoli immobili in uno spazio limitato sono fondamentali i dialoghi. E la loro costruzione è una delle cose che tiene incollato il lettore. È un lavoro di cesello, di sottrazione, di senso, di modulazione?

Quand’ero più giovane ero incapace di scrivere un dialogo decente. Credo di aver imparato quando ho cominciato ad ascoltare le persone intorno a me. All’inizio scrivo senza preoccuparmi della forma, cerco solo di scoprire chi sono i personaggi e come parlano. Poi, un poco alla volta, comincio a tagliare o ad aggiungere. L’importante, però, è che ogni parola abbia un peso, un perché, una sua necessità. Tutto il resto lo elimino.

A un certo punto scrive: "Le sirene dei pompieri passavano lontane. A volte si avvicinavano con il loro ululato inquietante. Da qualche parte prima o poi, si sarebbe aperta una voragine". È difficile, leggendo questo romanzo, che in un cassetto del cervello non compaia Malacqua: è un’ispirazione o un fardello per chiunque decida di scrivere di una Napoli piovosa?

Malacqua è stata un’ispirazione. Lo avevo apprezzato e letto più di una volta, ma mi è tornato in mente in maniera decisiva durante una notte di pioggia torrenziale in cui sono rimasto bloccato con un amico sulla tangenziale di Napoli. Un vero e proprio incubo. Ma mentre il mio amico quasi piangeva, io guardavo affascinato quella pioggia che cadeva, ne sentivo il suono, ne coglievo il sentimento, e già la vedevo stagliarsi sullo sfondo di un romanzo.

"Davvero Ivano non capiva qual era il problema? Oppure lo capiva e deliberatamente sfidava i fratelli? Ma per quale motivo sfidare i fratelli, ai quali voleva bene, come gliene volevano loro, e con cui non aveva mai avuto risentimenti?". Dialoghi a parte, è la scelta del narratore che mi ha colpito, un narratore esterno ma non completamente onnisciente: come ha scelto il punto di vista?

Mi ha sempre affascinato un narratore onnisciente a metà. Un narratore che guarda senza giudicare, che cerca di capire, che si sforza di mettersi nei panni di ognuno dei personaggi. Anche se, alla fine, la coscienza dei tre fratelli è racchiusa soprattutto nei pensieri e nei sentimento di Carmine, il più grande.

Carmine, Papele e Ivano sono tre personalità che probabilmente tutti quelli che hanno vissuto in città hanno incontrato, in un modo o nell’altro. Farli fratelli permette – nella narrazione – interazioni anche spiazzanti. Come ha lavorato sulla scelta delle caratteristiche dei fratelli – che rispecchiano anche alcuni topoi della malavita (e anche un tabù che non sveliamo) – e dell’interazione?

Diversi tra loro, ma in parte uguali, questo era indispensabile. Ma poi, mentre scrivevo, mentre cercavo le caratteristiche psicologiche più adatte ad ognuno di loro, mi sono reso conto che in fondo io stavo usando tre malavitosi camorristi per parlare della piccola borghesia e delle sue paure quotidiane: perdere ciò che si ha, confrontarsi con i cambiamenti e con l’altro diverso da noi.

Quali sono le caratteristiche sociali di Napoli che predilige? Ce ne sono alcune che vorrebbe riuscire a raccontare, ma a cui non riesce andare forma?

I personaggi secondari mi affascinano. Quelli che sono meno raccontati, quelli che hanno meno possibilità di incidere nel mondo. Però mi piacerebbe riuscire a scrivere una storia corale, dove l’individualità cede il passo alla coralità: una sorta di Furore napoletano, tanto per capirci.

È un romanzo che segna il suo passaggio a Sellerio. Quali sono le caratteristiche (e gli autori e le autrici) che le piacciono della sua nuova casa editrice?

Più che degli autori e delle autrici, che sto imparando a conoscere, sono rimasto colpito dall’atmosfera che si respira nella casa editrice: disponibilità al confronto, grande apertura, un’apparente meridionale lentezza che di colpo si trasforma in sveltezza: ‘La profondità della leggerezza' l’avrebbe chiamata Calvino.

Che effetto le ha fatto rivedere pubblicato "Chi ha ucciso Sarah?".

Inizialmente non volevo toccare il vecchio libro. Poi però rileggendolo ho trovato che Acanfora, il giovane poliziotto protagonista della storia, parlava in maniera un po’ troppo ridondante, quasi fastidiosa a volte. Così ci ho lavorato su fino a quando non sono riuscito a rendere la sua lingua fluida e scorrevole. È un po’ come se avessi imparato a conoscere meglio Acanfora. Chissà, magari tornerò presto ad incontrarlo in qualche vicolo di Napoli.

Andrej Longo sarà tra i protagonisti del prossimo Salone del libro di Torino che si terrà dal 14 al 18 ottobre. Lo scrittore presenterà "Solo la pioggia" sabato 17 alle 17.15 al Caffè Letterario (PAD Oval) assieme a Mattia Carratello, Marco Malvaldi e Antonio Manzini.

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