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La nostra epoca senza padri né legge: dopo il complesso di Edipo quello di Telemaco

Viviamo in un’epoca senza padri, dove prevale il desiderio illimitato e senza legge. È il complesso di Telemaco, figlio di Ulisse, che trascorre le sue giornate in riva al mare provando nostalgia per la figura paterna della legge e della misura.
A cura di Diego Fusaro
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Testa di Ulisse, Gruppo di Polifemo a Sperlonga
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Come ricordava Lacan e come, più recentemente, ha adombrato Massimo Recalcati, viviamo nel tempo del “padre evaporato”: il padre è stato ucciso. Senza padre, prevale il godimento senza misura e senza interdizione. Tutto è possibile, purché ve ne sia sempre di più.

Se il padre – insegna Lacan – è colui che coniuga e non oppone Legge e Desiderio, l’odierna epoca del capitalismo assoluto è ab intrinseco edipica: ha ucciso il padre e lascia che a dominare sia il desiderio illimitato e senza legge.

Ne è scaturito il culto conformistico della sensibilità liberal-libertaria, il massimo che la nostra epoca sembra in grado di permettersi. Il comune denominatore dei moti del Sessantotto e del capitalismo odierno sta, infatti, nella distruzione della legge come limite e come barriera in grado di imporre quell’esperienza della misura che, pur in modo contraddittorio, la cultura borghese del padre era ancora in grado di far valere.

Senza misura, la merce e il suo principio dell’estensione illimitata, vuoi anche del godimento cieco e sempre risorgente, possono imporsi sovranamente. Senza legge, il desiderio degenera: diventa mortifero, dissipativo e autoreferenziale, nichilistico come lo è il capitalismo, incardinato sulla stolida e volgare esaltazione del materialistico cinismo della pulsione non più limitata, come è suffragato dalle patologie del nostro tempo, come la tossicodipendenza, l’alcolismo e la bulimia.

È stato detto che la nostra epoca è in preda al “complesso di Telemaco” (Recalcati). Il complesso di Telemaco rovescia quello di Edipo. Se l’atto edipico per antonomasia è il godimento incestuoso scaturente dal parricidio, quello telemacheo è la nostalgia per la figura paterna della legge e della misura, la sola in grado di porre fine alla lunga notte dei Proci, in cui godimento e trasgressione si ergono a unica legge.

Nella narrazione omerica, Telemaco trascorre larga parte delle sue giornate in riva al mare, assorto nei suoi pensieri e scrutando l’orizzonte, in attesa che le flotte gloriose salpate per Itaca facciano ritorno. “Se quello che desiderano i mortali potesse avverarsi, per prima cosa vorrei il ritorno del padre”, afferma Telemaco (Odissea, XVI, vv. 175-176). In assenza del padre Odisseo, simbolo della legge, a Itaca domina incontrastata l’anomia del godimento illimitato, incarnato dai Proci. È questo l’orizzonte di senso del nostro desolante presente.

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Sono nato a Torino nel 1983 e insegno Storia della filosofia in Università. Mi considero allievo indipendente di Hegel e di Marx. Intellettuale dissidente e non allineato, sono al di là di destra e sinistra, convinto che occorra continuare nella lotta politica e culturale che fu di Marx e di Gramsci, in nome dell’emancipazione umana e dei diritti sociali. Resto convinto che, in ogni ambito, la via regia consista nel pensare con la propria testa, senza curarsi dell’opinione pubblica e del coro virtuoso del politicamente corretto.
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