"E invece adesso eccoci qui. Con gli stessi problemi di prima ma a mutazione avvenuta. Internet avrà smesso di essere oggetto di dibattito per diventare punto di partenza, eppure continuerà a giocare al gioco di sempre: fare spazio tra le persone e riempirlo di connessioni per le quali poi risultare indispensabile". C'è, nella marea di riflessioni, articoli e libri che riflettono – molto spesso, tediosamente – sull'impatto del Coronavirus sulla nostra società, un libro che più di altri merita di essere preso in considerazione, forse perché i suoi presupposti erano già presenti a chi avesse voluti osservarli in precedenza.
È "La Mutazione" (Bollati Boringhieri) di Marco Bracconi, giornalista di Repubblica, che riflette sugli aspetti per certi versi più sinistri della mutazione tecnologica a cui la crisi sanitaria da Covid-19 ci ha costretti, fino ad arrivare alla situazione attuale di Milano e alla crisi, – che l'autore si augur non irreversibile – di vestale della globalizzazione così come abbiamo imparato a conoscerla nel ventunesimo secolo. Scritto nella forma di una lettera al virus, in questo breve libro Marco Bracconi racconta il modo dirompente con cui, durante il lockdown, la Rete si è impossessata di noi ed è definitivamente diventata necessaria.
"Succedeva che tu ci accecavi, ma noi avevamo una torcia. Un sistema di connessioni capace di per mettere in Rete ogni singolo individuo e intervenire in ogni ambito del sistema umano: relazioni, produzione, politica, intrattenimento. La variante tecnologica. Il tuo cigno nero". La mutazione tecnologica che ci è stata imposta durante il lockdown ci salverà dal Coronavirus, ma poi?
La mutazione alla quale di allude nel titolo è, appunto, il salto di specie del digitale. Nulla di nuovo è successo durante il lockdown, tranne la clamorosa dimostrazione di forza di internet. E no, questa mutazione non credo ci salverà, al contrario credo che la smaterializzazione delle relazioni sociali e politiche non porti nulla di buono. Se la Rete diventa intoccabile, nulla potrà contrastare l’ideologia dell’innovazione. Il punto non è l’utilità o meno del web, che è nei fatti. Il tema è la sua trasformazione in un ambiente, legando l’idea stessa di futuro ad una dipendenza sempre maggiore dalle tecnologie. Nel mio libro parlo di una supplenza (durante il lockdown) che sta diventando prospettiva unica per l’avvenire. Senza calcolare i rischi sociali, politici e culturali di una tale trasformazione”.
Non vede alcun vantaggio derivare dal fatto che nessuno, in futuro, metterà in dubbio la centralità della Rete nella nostra vita?
L’impossibilità di rimettere in dubbio non porta nessun vantaggio, in nessun caso. È la prima regola del pensiero critico. Nel mio libro il passaggio che stabilisce la necessità ideologica della Rete viene posto in termini radicalmente negativi.
"Non la semplice rivelazione di un ambiente, piuttosto la sua necessità". Così viene descritta ne La Mutazione l'ineluttabilità del web nelle nostre vite…
La domanda è: per che cosa il sistema digitale ci aiuta, per cosa ci danneggia? Il salto di specie della Rete porta con sé una spinta sempre maggiore verso strumenti come lo smart working e l’e-learning, senza però considerare i costi culturali della smaterializzazione nei luoghi di lavoro o nelle università. Il digitale lavora per creare connessioni, non relazioni. Sono due cose profondamente diverse. E privandoci del corpo, che è il nostro primo vincolo di eguaglianza, ci privano di un’arma. Meno persone fisiche circolano nello spazio pubblico, più la società è debole. Per questo dico nel libro che è necessario un nuovo patto tra la polis e internet. Attraverso il quale dare al web quel che è del web, e lasciando alla democrazia quel che è suo. Il corpo, prima di tutto.
Colpisce molto nel libro l'idea di Milano simbolo di un'icona globale spazzata via in un nonnulla dal virus. Tu che la vivi e la racconti per mestiere, come credi che la città uscirà dalla mutazione?
Milano, come tutte le global city, è stata duramente ferita dal Covid e continua ad esserlo: senza il passaggio continuo delle persone, il modello che fin qui aveva sostenuto la locomotiva d’Italia è fortemente compromesso. Si sente parlare di ripartenza green, riconversioni, creatività all’opera. Ma sembrano prospettive consolatorie. Credo che per pensare a una vera ripresa di Milano bisogna prima di ogni altra cosa lavorare per farla tornare una città-hub, un luogo fluido di transiti e mescolanze. Il resto verrà. Speriamo.