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La maestra ha corretto ‘zebra’ in ‘zebbra’: tre note sul polverone

L’antefatto è banale: una maestra corregge un bambino che ha scritto correttamente ‘zebra’ dicendogli che si scrive con due ‘b’. Un genitore della classe lo riporta a un giornale locale. Apriti cielo, l’errore diventa virale. E vediamo perché questo scandalo nasconde un certo malanimo.
A cura di Giorgio Moretti
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(Qui potete trovare un articolo che racconta in maniera più puntuale l'accaduto.)

1 – Un errore veniale

Sì, è un errore proprio bassotto, che nessuno dovrebbe fare e men che meno chi insegna. Non è un buon indice. Ma non è un errore rilevante: si presenta, viene corretto e avanti. A esser pratici, non compromette in nessun modo la comunicazione, non fa perdere sfumature, né è così ricorrente da essere una minaccia per la lingua. Siamo al refuso. In effetti ha tutta l'aria della trasposizione per iscritto di un meridionalismo dei più schietti e diffusi: io sono fiorentino e dico ‘Calabria', i miei amici calabresi dicono ‘Calabbria', e se una volta scappa scritto, o se per la prima volta uno di loro realizza che in qualche parola l'ortografia italiana richiede una ‘b' in meno, c'è poco da scandalizzarsi. Succede. Il principio generale è "chi non fa non falla", e di solito la cosa importante da imparare alle elementari è non deridere chi sbaglia. Andrebbe capito che anche il sarcasmo è una forma di ignoranza, e delle più perniciose, e infine rivista la storia di "Al lupo, al lupo": a forza di scandalizzarsi, quando ce ne sarà davvero bisogno non ci alzeremo dal letto.

2 – La vera storia del nome ‘zebra'

Chi si attacca a un episodio del genere per lamentare il declino della scuola italiana, nel darvi tanto valore mostra di dominare con sguardo asfittico la forma delle parole. Potremmo fare discorsi generali su quanti siano i casi in cui la lingua italiana ha raddoppiato le ‘b' scempie delle basi latine, però voglio parlare proprio di ‘zebra', una parola che giunge ad avere questa forma tramite storpiature delle più incredibili.
Lo stato dell'arte sull'etimologia di ‘zebra' è descritto in maniera magistrale nel Dizionario Etimologico della Lingua Italiana di Cortellazzo e Zolli. Qualcuno si stupirà di sapere che l'origine di questa parola sta nel latino parlato ‘ecifera', variante ipotetica del classico ‘equifera', nome con cui veniva chiamata la cavalla selvaggia. ‘Zebra' emerge in spagnolo all'inizio del XIII secolo, probabilmente con la precedente mediazione del portoghese. Ed è dallo spagnolo che prendiamo il nostro ‘zebra' – anche se ha convissuto con forme mediate invece dal francese antico ‘azoivre' (come ‘zevere'). Ora, per passare da ‘ecifera' a ‘zebra' serve che di lingua in lingua si assestino molti passaggi storpiati. E serve una bella faccia tosta a voler scolpire nel marmo la forma finale: ogni parola che leggiamo sul dizionario è il fotogramma di un film che dura da prima e durerà oltre la nostra lingua stessa. Ci vuole una prospettiva serena, su certi errori, specie quando riflettono fenomeni linguistici ben noti. Oh, bene o male una parte importante degli italiani, se non raddoppia, parlando almeno calca la ‘b' di zebra.

3 – Perché un episodio del genere è finito sul giornale

Sarebbe la prima domanda da farsi. Perché questo episodio è finito sul giornale? E perché è stato rilanciato viralmente? A scuola mi è capitato più volte di assistere a un errore anche grossolano di un insegnante. Dato che gli insegnanti sono umani, è successo a tutti. (Figuriamoci, dopo cinquant'anni mia madre si ricorda ancora quella volta che, da insegnante, mise il pinguino fra i mammiferi.) Eppure nessun errore dei nostri insegnanti è finito sui giornali. Perché questo sì?
Il clima scolastico, oggi, non è dei migliori, non è dei più distesi, e il fatto che l'errore basso ma veniale di un insegnante sia anche solo concepibile come notizia è molto eloquente. Inoltre, se a pensare male si fa peccato ma s'indovina, potremmo insinuare che buona parte del calore eccitato da questo errore trovi ragione nel suo essere un meridionalismo (il fatto è accaduto in una scuola del Milanese). Dopotutto non è così comune che un minuto errore assurga alle cronache nazionali, e non è sciocco interrogarsi con ipotesi del genere su quale sia l'energia che l'ha portato alla ribalta.
Una cosa certa la possiamo dire: come alunni e come genitori, se un insegnante fa un errore che ci colpisce, si va a parlare con l'insegnante, non con i giornalisti. Quando si sta dalla stessa parte, ci si confronta con chi fa l'errore: e questo vale in generale. Altrimenti siamo nemici.

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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