La catastrofica visita allo Zoo di Joel Dicker: “È un libro politico, grazie soprattutto ai bambini protagonisti”

Joel Dicker è uno degli scrittori più amati e venduti di questi ultimi anni: da La verità sul caso Harry Quebert a Il caso Alaska Sanders passando per La scomparsa di Stephanie Mailer e Un animale selvaggio, i suoi libri sono sempre bestseller, anche in Italia dove ha esordito primo anche con l'ultimo lavoro La catastrofica visita allo zoo. Quest'ultimo è un libro leggermente diverso dagli altri, è un libro che pur rimanendo pienamente nelle corde dello scrittore svizzero, attua un cambiamento importante ed evidente: se non un libro per ragazzi tout court, sicuramente è un libro che apre nettamente le porte anche a un pubblico più piccolo. Eppure è uno dei libri più spiccatamente politici di Dicker che si avvale della narrazione di bambini di una scuola speciale per non essere moralista ma poter affrontare temi importanti come la democrazia in un gruppo, o il politicamente corretto (declinato anche nel "non si può dire più niente" di cui si fa gioco). E poi c'è il bullismo, il rapporto tra adulti e bambini, e l'amore, quello che salva almeno uno di questo adulti rappresentati soprattutto come stupidi e ottusi. La trama è il racconto di come si è arrivati alla visita alo zoo del titolo, raccontando una classe formata da sei bambini "speciali", ognuno con delle peculiarità, che si trovano ad affrontare un problema che li costringerà a trasferirsi in quella normale e pian piano a costruire una storia che vive di una suspense particolare: cosa è successo nei giorni precedenti allo zoo? Cosa è successo tra i bambini della scuola? E gli adulti? Abbiamo intervistato Dicker su Zoom per farci raccontare anche come è cambiata – se è cambiata – la scrittura di un libro del genere rispetto agli altri.
Lo definisci un libro per tutti, ma possiamo dire che è un libro che parte per ragazzi e come tutti i libri per ragazzi sono adatti a tutte le età?
A volte è difficile mettere un libro in una scatola, ci piacerebbe tanto etichettarli, ma non sempre possiamo, è una cosa che bisogna accettare. E lo dico perché io stesso, quando ho scritto questo libro, per prima cosa mi sono detto che avevo scritto un libro così come avevo fatto per i miei altri libri. Ma chi sono i miei lettori? Alcuni hanno 12 o 13 anni, ci sono quelli più giovani, altri sono anziani, alcuni leggono molto, altri meno, insomma sono molto eterogenei e diversi. Avevo questa idea di scrivere per un pubblico molto vasto e poi c'era un pubblico che era sempre un po' escluso, ci sono persone che mi dicono: ma tu scrivi romanzi rosa o romanzi gialli o saghe familiari ma non c'è mai stato un libro per bambini, non ho mai incluso i bambini nei miei altri libri. Ma ho molti dei ragazzi che a volte vengono alle presentazioni dei libri che hanno letto Un animale selvaggio o Henry Quebert, e a volte dico a me stesso: "Wow, vedi, sono ancora giovani". E ho anche genitori che a volte mi dicono: "Ah, ti ho letto e vorrei che anche i miei figli ti leggessero". E così mi sono detto: ci sono dei ragazzi che mi leggono, talvolta sono ragazzini di appena 11 anni che hanno letto gli altri miei libri, ma forse non siano proprio per loro, sai ci sono storie di omicidi, di sesso o altro, così dico ai genitori: "Spetta a voi decidere, non a me". E ti racconto tutto questo perché quando alla fine ho scritto questo libro, mentre lo scrivevo, ho dovuto prendere delle decisioni.
Questo è interessante, in che modo questo ha inciso sul libro, appunto?
Per esempio a un certo punto mi sono detto: voglio uccidere tutti i bambini della scuola speciale? Vedete, avrei potuto ritrovarmi improvvisamente in una situazione in cui tutti sono morti. Manon ne avevo voglia, mi sono detto di no, che non era un libro che si prestava a questa cosa, volevo che fosse un libro in cui ci si sentisse bene, in cui non ci fosse violenza, cose del genere, cose orribili per i bambini. Tutto questo per dire che in effetti è un libro che potrebbe essere letto anche dai bambini e quindi è anche un libro per bambini, ma in generale è un libro per bambini, per adulti, per i nonni, per tutti.
Mi piace molto una cosa: scrivere libri, oltre a darti popolarità, ti ha dato quella che definiamo rilevanza. E tu ne hai fatto un atto politico, nel senso vero di questa parola.
È vero, ed è vero che è un libro politico nel vero senso della parola, nel senso che è anche un libro per far funzionare meglio il mondo. E la politica, il vero senso di politica, deriva dal greco, ha a che fare con le cose della città in un'epoca in cui non avevamo ancora la nozione di Paese, ma avevamo la città, che era Atene e ce ne sono state altre, ma era l'idea di far funzionare la nostra società. E in fondo è sempre stata un'ossessione fin dall'antichità quella di creare un mondo che funzioni e l'Antichità e l'Impero Romano, in contrapposizione ai barbari, hanno rappresentato un'evoluzione non perfetto, ovviamente, ma con l'idea di funzionare meglio, di avere una società funzionante, governata dalle leggi. Abbiamo il diritto romano che è la base dei nostri diritti, tutto nasce da lì, dal dire a noi stessi: facciamo in modo che funzioni. E credo che questa debba essere la nostra esigenza, la nostra responsabilità e la nostra ricerca, oggi, di dire a noi stessi che dobbiamo far funzionare questo mondo e dobbiamo fornire i mezzi per farlo funzionare.
Immagino siano tante le sfide da affrontare nel trattare un libro come questo, lo dicevi anche tu prima. Ci sono adulti stupidi, altri che cercano di migliorarsi (talvolta con l'amore), poi ci sono i bambini speciali. Sui personaggi hai lavorato in maniera diversa rispetto ai tuoi libri precedenti?
Sì, questo libro è ovviamente un libro diverso dai miei altri romanzi, perché – e questo è quello che a volte dico ai lettori per metterli in guardia – nei miei altri libri c'era molta suspense – erano ambientati in un contesto investigativo e così via – mentre in questo non c'è. Ma nella produzione non ci sono differenze tra questo e quelli precedenti. Vale a dire, il processo, con cui costruisco il mio libro a strati, per tentativi ed errori, con metodo empirico, è molto istintivo, è un processo in cui faccio delle prove, ci sono moltissime cose che non funzionano e, alla fine, resta solo ciò che in quel momento sembra funzionare per me. La bellezza di un libro è che fondamentalmente è un materiale molto organico che continua a vivere, perché noi viviamo e la nostra prospettiva cambia.
E questo come influisce sullo scrittore?
Che forse se leggessi questo libro tra uno, due, dieci o quindici anni, cambierei tutto. È davvero qualcosa che ha a che fare col momento presente. Per me la costruzione e la scrittura di un libro è un po' come quando usciamo per una serata fuori, organizziamo un grande evento, per esempio, c'è il matrimonio del nostro migliore amico, quindi siamo stati preparati con largo anticipo, abbiamo provato diversi abiti e ne abbiamo scelto uno e ci sentiamo bellissimi. Scatteremo delle foto e quando le guarderemo, tra 10 anni, ci diremo: "Oh mio Dio, come ho potuto vestirmi in quel modo?". E la risposta è perché in quel momento abbiamo preso una decisione che ci è sembrata giusta. E un libro è questo, ovvero una serie di tentativi per giungere a una buona decisione che fornirà una trama, che darà vita a un romanzo poliziesco negli Stati Uniti, a un romanzo di rapina a Ginevra, a una visita allo zoo come in questo caso, ma il principio è lo stesso.
Come nasce la classe di bambini speciali?
Potrei dirti perché ho pensato molto al concetto di speciale e di normale, a chi lo è veramente etc, ma non è vero. Nel momento in cui scrivo, faccio ciò che è più comodo per il libro, il che è un bene per il libro: quindi c'è questa classe di bambini e, in linea di principio, sia che ci troviamo in Svizzera, Italia, Francia o altrove, una classe è composta da 15 o 20 studenti, ma 15 o 20 studenti sono un numero troppo grande per essere raccontato, è uno spazio troppo grande e io volevo davvero che l'intera classe fosse un'unità. Allora mi sono detto: bene, ce ne saranno 6, ed è già abbastanza. Ma una classe di 6 non è realistica, quindi mi sono che sarebbe stata una classe speciale. Non significa niente, ma giustifica il fatto di avere 6 alunni. E una volta fatto questo, mi sono detto: aspetta, una classe speciale? Beh, questo apre l'idea a una scuola "normale", quindi abbiamo i bambini speciali, quelli normali, i genitori, tutti quanti, ecco come l'ho costruito.
Nel libro affronti anche il tema del “Politicamente corretto” e del “non si può dire più niente”, prendendotene gioco. È vero che non si può dire più niente oppure non si può dire nulla di quello che una volta si diceva pur offendendo?
Credo che viviamo in un mondo in cui non si pensa più molto. C'è una sequenza del mio libro in cui il pompiere si lamenta che non possiamo più dire niente, ma lui è, in effetti, offensivo perché usa termini non corretti con i bambini e lo fa di fronte a loro, e quindi è completamente nel torto. Inoltre è un pompiere, rappresenta l'autorità, deve comportarsi bene, eppure pur essendo completamente nel torto continua a lamentarsi. Ma è anche un modo per dire che il dire o poter dire fa parte di una questione di responsabilità, perché in effetti il tema che ritorna sempre è la questione della responsabilità individuale verso se stessi, verso gli altri e della responsabilità collettiva di noi insieme. E noi viviamo ancora in questa società democratica, viviamo ancora in una posizione di responsabilità, che sia individuale o collettiva. E così tutte queste domande sulla parola, sul rispetto per gli altri, su cosa possiamo dire o pensare, ecc. hanno sempre a che fare con la responsabilità individuale e collettiva e con un bisogno di libertà, perché la libertà non può che funzionare quando siamo in molti. Ti faccio un esempio.
Prego.
Se ti trovi da solo su un'isola deserta, sei libero di fare ciò che vuoi perché sei completamente solo, ma in realtà sei veramente libero se puoi fare ciò che vuoi ed essere come vuoi in presenza di altri che accettano che tu sia quello. E quindi, è tutto questo gioco di responsabilità individuale e collettiva e a tutti questi livelli, viene raccontato in tutto il libro proprio in questi confronti, in particolare con gli adulti e in particolare con questo pompiere che simboleggia il fatto che siamo allo stesso tempo in un mondo in cui vorremmo poter dire tutto e di più e allo stesso tempo, in un mondo in cui è proibito dire qualsiasi cosa, i due sono completamente polarizzati. Ed è proprio questo il problema. Ciò avviene perché esiste una doppia polarizzazione.

E torniamo alla questione politica, questo libro le permetteva più degli altri di affrontare certi temi?
Questi sono temi che mi interrogano da molto tempo, non è che mi sono svegliato all'improvviso e ho pensato: "Ah, comunque questi temi sono interessanti". Ciò che intendo dire è perché all'improvviso escono allo scoperto in questo libro particolare? Credo che il motivo sia proprio in questa tecnica di lavoro molto empirica, in cui metto alla prova le cose. Ho provato a usare la narrazione di un bambino per vedere come avrebbe funzionato e, in effetti, mentre scrivevo questo libro mi sono reso conto abbastanza rapidamente che il fatto che fosse un bambino a parlare mi permetteva di affrontare temi che riguardano gli adulti senza che questi ultimi si sentissero giudicati. Penso che dobbiamo parlarne, ma dobbiamo assicurarci anche che la narrazione non sia moralistica, e penso, altresì, che avrei potuto scrivere la stessa storia, allo stesso modo, ad esempio dal punto di vista dell'insegnante, della signorina Jennings, e forse avrei avuto la stessa storia con il suo punto di vista, ma l'intera parte sulla democrazia sarebbe stata vista, dal lettore adulto, un po' come una lezione morale, perché sarebbe stato da un adulto all'altro dire: "Non sta bene comportarsi così". Se si tratta di un bambino, invece, esiste questa libertà di parola e di tono che attira immediatamente l'attenzione dell'adulto.
Arriva il momento in cui un libro oltre a essere intrattenimento è giusto che sia anche altro?
I libri e la letteratura devono essere presentati in una forma attraente perché penso che dovremmo cercare di esserlo un po' di più per convincere le persone che oggi leggono meno a leggere. E quindi dovrebbe esserci una forma di intrattenimento in qualche modo attraente, qualcosa che risuoni nel lettore. E credo che il ruolo della letteratura e degli scrittori sia proprio quello di proporre e innescare in esso una riflessione che non è necessariamente dogmatica, che non dica "Questo è ciò che bisogna fare, questo è ciò che bisogna pensare", ma che sia proprio quella di illuminare qualcosa per innescare una riflessione nel lettore. Credo che lo scrittore sia un osservatore, non credo che debba essere un attivista, può esserlo se vuole, ma non è questo il suo ruolo. Credo che il ruolo dello scrittore non sia quello di un attivista, ma di un osservatore che poi spinge le persone a riflettere e propone una via per il cambiamento, ma un cambiamento che deve essere attuato in modo ponderato dalle persone per capire perché stanno facendo quello che stanno facendo.
Dunque non hai mai avuto paura della reazione che potevi scatenare?
No, assolutamente.
È un libro che si presta molto a una trasposizione cinematografica, no?
Vedremo, vedremo, è divertente perché ho molti produttori cinematografici interessati ad adattare i miei libri al cinema perché spesso mi dicono che sono molto cinematografici. E allo stesso tempo, quando arrivano al dunque, si rendono conto di avere molte difficoltà a renderlo cinematografico perché in un libro non c'è la verità, c'è la verità del lettore. Ma in un film c'è una verità che è la verità dell'immagine, del linguaggio, di tutto ciò. E per esempio, questo è un libro in cui non racconto i personaggi, come sono fisicamente, quanti anni hanno, di nessuno dico di dove sono o che lingua parlano, così ciascun lettore se ne appropria e lo immagina come vuole. E quindi la difficoltà del Cinema è riuscire a far aderire una verità a tutto questo. E buona fortuna.