Nella nostra lingua la campana non vive certo come gli altri strumenti musicali. La presenza quotidiana, istituzionale, con cui per secoli ha scandito la vita urbana e rurale, la semplice sua diffusione, per cui è stata uno strumento sempre prossimo, mai lontano, la forma netta e il suono potente, l'hanno resa il punto di riferimento di una quantità impressionante di usi figurati, locuzioni popolari, dalle campane a morto o a festa che suonano sui social network ad ogni notizia, ai cappotti a campana, dal non mi fido voglio sentire altre campane, dal conservare sotto una campana di vetro. Ma c'è una curiosità poco nota e assai notevole.
Non in molti associano il sostantivo ‘campana', che indica lo strumento musicale, all'uguale aggettivo volto al femminile, che significa ‘della Campania'. Aggettivo parimenti comune, basti pensare all'ospitalità campana, alle coste campane, alla mozzarella campana. Ebbene, questa associazione non è casuale, anzi. È proprio quella che ci squaderna e spiega l'etimologia della campana-strumento.
Certo, di campane o strumenti simili ne esistono centinaia di tipi, prodotti in ogni luogo del mondo e in ogni tempo della storia, d'ogni foggia e materiale. Ma noi abbiamo un'idea ben precisa di campana.
Fin dall'epoca repubblicana di Roma, giusto in Campania fiorì la produzione di vasi e stoviglie di bronzo: in particolare vasi emisferici, diffusi col nome latino di vasa campana, cioè ‘vasi della campania'. Fu a tale nome, riassunto in ‘campana', che si guardò (qualche secolo dopo Cristo) per chiamare gli strumenti impiegati nelle nuove liturgie cristiane, che ai vasa campana, ancora ben presenti nell'immaginario collettivo, così tanto assomigliavano, per quanto la loro funzione fosse del tutto diversa.
Peraltro, e qui c'è un po' di leggenda, si tramanda che sia stato il vescovo di Nola San Paolino, nel V secolo, ad avere l'intuizione di introdurre le campane nella liturgia, e perfino quella di inserire nelle campane un batacchio interno (sovente si usava percuoterle da fuori). Quindi la genesi stessa della campana che conosciamo sarebbe campana. Ma appunto, siamo nella leggenda.
Una storia semplice, che però ci fa intendere quanto le vicinanze non notate fra parole simili (o che paiono uguali) servano per capire la profondità della lingua, così come lo sguardo stereoscopico della nostra coppia d'occhi ci fa percepire spessori e distanze.