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La bufala della censura di Jessica Rabbit perché troppo sexy

Da più di 48 ore, le cronache italiane sono impegnate a rilanciare senza sosta l’ennesima “notizia” relativa alla fantomatica “dittatura del politicamente corretto”: questa volta a scuotere gli animi di sedicenti combattenti “anti-censura” è stata Jessica Rabbit. Ovviamente si tratta dell’ennesima notizia fuorviante di cui non sentiva il bisogno nessuno.
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Credits: Wikipedia
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Da più di 48 ore, le cronache italiane sono impegnate a rilanciare senza sosta l'ennesima "notizia" relativa alla fantomatica "dittatura del politicamente corretto": questa volta a scuotere gli animi di sedicenti combattenti "anti-censura" senza macchia o timori di sorta, autoproclamatisi paladini della libertà d'espressione, opinionisti sagaci e controcorrente decisamente più svegli di noi, poveri sventurati creduloni sottomessi al giogo autoritario del woke activism o, più semplicemente, giornalisti che non riescono in alcun modo a rimanere connessi al presente, è Jessica Rabbit. Il motivo? Secondo quanto riportato da alcuni quotidiani italiani piuttosto autorevoli, la Disney avrebbe deciso di censurare il personaggio creato da Gary Wolf nel 1981 in quanto "troppo ammiccante". Tutto fantastico, se non fosse per un piccolo dettaglio: le cose non stanno proprio così. Nulla di cui stupirsi: si tratta di uno schema destinato a riprodursi nell'identica forma per anni, e che segue delle tappe ben precise: qualche giornale o opinionista anglofono monta un caso ad arte a partire da un singolo episodio isolato; alcuni tabloid scandalistici lo riprendono e ne esasperano i contenuti; i giornali italiani non perdono l'occasione e ripropongono la "diatriba" ai loro lettori, infarcendola di richiami alla censura, alla realtà che ha ormai superato l'immaginazione, alla cancel culture et similia; scatta l’indignazione popolare, la notizia diventa virale e crea dibattito sui social; il tutto, ovviamente, condito dal solito gran finale: si scopre che la storia non era proprio come veniva raccontata, o addirittura falsa. Ma pazienza: a quel punto l'indignazione è già diventata senso comune, e qualsiasi tentativo di chiarificazione risulta nullo o addirittura superfluo.

La bufala della censura a Jessica Rabbit

Nel caso in questione, alcuni articoli hanno mantenuto una soglia minima di pudore, scegliendo di svelare l'arcano (ma non prima di aver fatto sfoggio di lunghi e superflui voli pindarici al grido di "non si può dire più niente!") nel fondo dell'articolo: non è stata apportata alcuna manipolazione al cartone Disney, semplicemente, i vertici della House of Mouse hanno deciso di modificare l'estetica di un personaggio con una storia ormai trentennale all'interno della Roger Rabbit's Car Toon Spin, un'attrazione presente in alcuni parchi Disneyland che mette in mostra una specie di corsa di macchine animata. Dopo trent'anni dalla sua prima apparizione, Jessica è diventata un'investigatrice, indossa un trench e ha un ruolo più attivo nella giostra di un parco a tema per bambini e, quindi, nello spazio di pochi minuti: ecco lo scandalo impronunciabile, eccola la minaccia che incombe sui destini di tutti noi. Tuttavia, come da copione, non sono mancate le reazioni stizzite e i travasi di bile di una buona parte di un pubblico che, narcotizzato e incattivito da mesi e mesi di offensiva senza quartiere contro quell'oggetto amorfo che definiamo "Cancel Culture", non si prende neppure più la briga di leggere un articolo per intero, scegliendo di fermarsi al titolo per condividere all'istante con i propri accoliti l'indignazione e lo sdegno dovuti all'ennesimo colpo di scure inferto dalla "polizia arcobaleno".

Acredine sul politicamente corretto e disinformazione: una relazione feconda

L'acredine sul politicamente corretto non è certo una novità, ma il naturale risultato di una strana commistione di disinformazione galoppante, pressappochismo e scarsissimo (o nullo) controllo delle fonti: periodicamente, l'opinione pubblica viene scossa dalla notizia di una censura che non esiste o che è stata amplificata così a dismisura da risultare fastidiosa. Un atteggiamento che si ripropone senza soluzione di continuità e che di "scorretto" non ha nulla, se non l'approccio deontologico: basti pensare al fantomatico "bacio non consensuale di Biancaneve", alla fantasiosa "Censura di Omero nelle scuole americane" o alla polemica surreale, protrattasi per mesi, sulla canotta un po' troppo larga di Lola Bunny in Space Jam 2. Tuttavia, uno degli esempi più clamorosi si è palesato all'indomani del lancio italiano di Lupin, la serie tv Netflix liberamente ispirata (non si tratta quindi, come annunciato dal servizio di streaming on demand sin dal giorno della sua pubblicazione, di una trasposizione fedele) ai romanzi di Maurice Leblanc. Dopo più di un mese dalla messa in onda e dopo aver chiarito fino allo sfinimento che non si trattava di una versione afro-discendente del celebre ladro, dato che persino il trailer specifica che il protagonista delle vicende non è Lupin, ma un uomo che si ispira a questo personaggio di finzione per commettere dei furti, alcuni illustri quotidiani continuarono imperterriti a dedicare recensioni e approfondimenti al "blackwashing" operato dal Lupin nero di Omar Sy, l'ennesimo character stravolto e plasmato per sempre dai diktat del politicamente corretto. E come dimenticare lo scomodo caso della "censura" di Aristogatti, Dumbo e Peter Pan? Anche in quel caso, la "notizia" si diffuse a macchia d'olio, salvo poi scoprire che la "censura" era rappresentata da un breve disclaimer inserito nell'anteprima della sezione dedicata su Disney Plus. Evidentemente, per diverse testate queste notizie occupano un ruolo di secondo piano e non sono degne di essere sottoposte a una verifica seria (che, nella stragrande maggioranza dei casi, si risolve in una ricerca di pochi minuti su Google); oppure c'entra la malafede di cui parlavamo poco sopra, l'intuizione che creare contenuti di questo tipo, totalmente fuorvianti e utili solo ad avvelenare il dibattito pubblico, genera engagement. Insomma: prima di urlare ai quattro venti che la BBC vuole censurare Grease, che Johnny Depp è stato bandito da Netflix  e che il Brasile ha in programma di mettere al bando Tom e Jerry, beh, forse sarebbe il caso di fermarsi a riflettere.

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