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L’Utopia di Thomas More 500 anni dopo: dal reale all’ideale, un viaggio ancora lungo

Nel 1516 Thomas More pubblicava “L’Utopia”, che 500 anni dopo resta un’opera ancora attuale per le domande che pone sul rapporto tra uomo e realtà.
A cura di Federica D'Alfonso
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La città ideale, anonimo del XV secolo, Walters Art Museum di Baltimora.
La città ideale, anonimo del XV secolo, Walters Art Museum di Baltimora.

Sono trascorsi cinque secoli dalla pubblicazione di una delle opere più significative ed importanti del Rinascimento: un'opera che ancora oggi non smette di sollevare domande importanti, a causa del suo carattere ambiguo, solo apparentemente “immaginario”. “L'Utopia” di Thomas More è un'opera più che mai attuale, perché sempre attuale resta l'aspirazione dell'uomo a realizzare i propri ideali: ma l'abisso che separa ciò che è da ciò che dovrebbe essere all'uomo fa paura, e oggi più che mai sembra un salto impossibile da fare. “L'Utopia” è un'opera profondamente politica, pubblicata 500 anni fa, ma ancora oggi esprime una forza insolita, propria solo dei grandi classici: quella di saper parlare all'uomo di oggi con la stessa intensità con cui aveva parlato all'uomo di ieri.

Non si tratta di un discorso nuovo: già Platone aveva parlato di una città ideale, e Plinio il Vecchio l'aveva addirittura localizzata in India. Ma Thomas More fa di più: inventa un linguaggio nuovo, e ripropone l'antica tensione platonica verso l'ideale arricchendola con una dura e acuta critica al suo presente.

Il linguaggio ambiguo dell'inarrivabile

L'opera di More è estremamente innovativa per la propria epoca, anche per il linguaggio che utilizza. Il nome dell'isola, “Utopia”, fu coniato da Thomas More stesso: si tratta di una forma latinizzata del greco “eutopeìa”, l'ottimo luogo, o di “outopeia”, il non luogo. In realtà, l'ambiguità di questo termine era ben presente a Thomas More: la volontà era proprio quella di unire i significati dei due termini, per parlare di “un ottimo luogo che non è in nessun luogo”.

More ama giocare con le parole: lo fa anche con molti nomi che s'incontrano nel testo: il protagonista, colui che fa il racconto del suo viaggio ad Utopia, si chiama Itlodeo. In greco, colui che dice bugie. Un'ironia sottile, che gioca sui significati possibili di un testo profondamente reale nelle immaginazioni che racconta. Ma i giochi di parole di More non si fermano qui: quale nome migliore da scegliere per il governatore di Utopia se non Ademo, “il senza popolo”?

More, un uomo del suo tempo

Thomas More, ritratto di Hans Holbein (1527)
Thomas More, ritratto di Hans Holbein (1527)

Per riuscire ad immaginare e a tradurre in parole un'idea come l'Utopia, bisogna aver ben presente la realtà in cui si vive. Pensare filosoficamente l'ideale non vuol dire vivere arroccati in una fortezza lontana dalla propria contemporaneità: pensare la perfezione vuol dire conoscere e far parte dell'incompletezza del presente.

Thomas More rappresenta il più alto esempio di questo principio: filosofo, uomo colto, latinista e amico di Erasmo da Rotterdam, egli è stato protagonista indiscusso della propria epoca politica. Fu magistrato e gran cancelliere d'Inghilterra, figlio di una lunga tradizione aristocratica, studente di Oxford; ricoprirà la carica di tesoriere dello Scacchiere, divenendo uno degli uomini più influenti nella corte di Enrico VIII. Un'influenza e un coinvolgimento che gli costeranno cari: quando Enrico VIII intraprende il divorzio da Caterina d'Aragona che scatenerà le ire papali, la rigida educazione cattolica di More ha la meglio sui favoritismi di corte. Dimessosi dalla carica di consigliere ed essendosi rifiutato di dichiarare illegale il matrimonio del re con Caterina, fu imprigionato nella Torre di Londra e, inflessibile alla possibilità di ritrattare e riparare, preferì la condanna a morte per decapitazione.

L'utopia: la filosofia di un'epoca

Il carattere filosofico di un'epoca, spiegava il filosofo Ernst Cassirer, “non si può misurare unicamente dai principi stabili che essa ha raggiunto, ma ci è rivelato, in misura non minore, dalla forza con la quale viene assegnata al pensiero una nuova meta”. Con questa affermazione Cassirer coglie uno dei valori più alti del concetto stesso di filosofia: esistono domande alle quali l'uomo riesce a dare solo risposte incomplete, realtà i cui molteplici significati sfuggono ancora all'ossessione di razionalizzazione che oggi ci caratterizza.

Nonostante questo, il pensiero non si ferma mai sulle soglie dell'impensabile: va sempre oltre, talvolta addirittura “immaginando” risposte alle domande che attanagliano il presente, inventando luoghi in cui, in qualche modo, anche l'ideale diventa possibile, realizzabile, reale.

Mentre descrive per bocca di Itlodeo l'innovativo sistema politico degli Utopii, More non sta facendo altro che guardare con durezza la sua Inghilterra: in questo senso, More assegna un valore aggiunto al pensiero dell'ideale. Quello di aiutare a comprendere più a fondo la propria realtà, come se la si guardasse allo specchio. Disoccupazione, delinquenza, corruzione, fame e miseria trovano un corrispettivo positivo nell'avanzatissima società immaginaria descritta nel libro: un altro grande filosofo che di lì a pochi anni scriverà un'altra grande opera utopica, “La Città del Sole”, spiegherà così l'importanza fondamentale del lasciare al pensiero la possibilità di navigare verso isole sconosciute e perfette:

I retori enunciano le regole dell'orazione perfetta, anche se non si è mai vista un'orazione priva della benché minima pecca. I teologi narrano le vite dei santi, anche se nessuno li può imitare perfettamente. Quale uomo ha mai potuto davvero imitare la vita senza peccato di Cristo? E diremo per questo che gli evangelisti l'hanno scritta invano? Niente affatto, ma perché ci sforziamo per quanto ci è possibile, di accostarci ad essa.

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