L’Orlando Furioso compie 500 anni. L’intricato poema dal fascino eterno
Sono passati 500 anni da quella prima edizione del 1516, quando il 22 aprile, Ludovico Ariosto inaugurò il suo capolavoro letterario, poema senza eguali in età moderna, orgoglio di Ferrara per il suo carattere encomiastico nella celebrazione della casa d'Este e di tutta la letteratura italiana, che con l'Orlando Furioso aveva affrontato una sfida autonoma nella ripresa di quel filone tradizionale, del ciclo bretone e carolingio. Ariosto raggiunge un livello di ‘entrelacement' perfetto, intrecciando magistralmente ‘le donne, i cavallier, l'arme, gli amori, le cortesie, l'audaci imprese' che ci introduce nell'intramontabile proemio. Il poema intesse ad arte, in un gioco di equilibri, vicende dal profondo significato storico, come la guerra fra cristiani e musulmani, che la mancata riuscita dell'idillio fra Orlando e Angelica simboleggia allegoricamente, come anche la debolezza del sistema dei valori cavallereschi che si sta per sgretolare cedendo ad una nuova era, probabilmente quella della polvere da sparo dove lance, archi e scudi cederanno il passo a ben altri sentimenti.
Il poema che ha affascinato generazioni di studiosi fu ideato dall'Ariosto per ultimare l'incompiuto Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo. Ma era solo un espediente letterario, una scintilla per approcciarsi alla materia cavalleresca e caricarla di significati contemporanei, un vero e proprio lavoro di intrecci e, ad intessere il filo dell'intricatissima trama, sarà l'amore di Orlando per Angelica, un sentimento smodato che, da cavaliere valoroso, lo condusse alla perdita del senno e con questo Ariosto voleva rivelare il collasso graduale dei valori cavallereschi che nella sua epoca erano divenuti labili, corruttibili, destinati a tramontare con la fine di un'era, come si evince già dai primissimi versi del premio:
Dirò d'Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai, né in rima:
che per amor venne in furore e matto,
d'uom che sì saggio era stimato prima;
se da colei che tal quasi m'ha fatto,
che ‘l poco ingegno ad or ad or mi lima,
me ne sarà però tanto concesso,
che mi basti a finir quanto ho promesso.
Il fascino esotico di Angelica che, al dì dell'etereo nome, è una saracina, aveva leso l'integrità del codice cavalleresco di Orlando. Prima della battaglia tra i Mori, i musulmani che assediano Parigi, ed i cristiani, Carlo Magno affida Angelica al vecchio Namo di Baviera, per evitare la contesa tra Orlando e Rinaldo che ne sono entrambi innamorati, e la promette a chi si dimostrerà più valoroso in battaglia, accentuandone il senso di competizione nell'ambizione, già connaturata in un cavaliere, della migliore esternazione di sé. Ma Angelica, approfittando dello scompiglio nel campo di Carlo Magno dove è tenuta in custodia, scappa nel bosco.
La fuga di Angelica è il simbolo della condizione di incompletezza che avvolge i cavalieri, della estenuante ricerca della soddisfazione, del vano desiderio. Un sentimento che sarà trasposto nel tormento atroce l'amore di Orlando per la bella Angelica, un amore che gli farà perdere la testa. Orlando, il più valoroso cavaliere alla corte di Carlo Magno, bevendo alla Fontana dell’Amore, si era innamorato fatalmente di una saracena, ubriacandosi di lei fino a impazzire, i suoi valori sono contaminati.
La ragione deve essere messa in salvo a tutti i costi, ci penserà un amico, Astolfo che si recherà sulla Luna, quel posto pallido e lontanissimo dove nel poema si ritrovano gli oggetti smarriti dagli uomini sulla terra. Alla ricerca del senno di Orlando, passando per l’Inferno, ha inizio un viaggio tanto mistico quanto insidioso verso il luogo del ‘ritrovamento', ben reso da questi magici versi:
Le lacrime e i sospiri degli amanti,
l’inutil tempo che si perde a giuoco,
e l’ozio lungo d’uomini ignoranti,
vani disegni che non han mai loco,
i vani desidèri sono tanti
che la più parte ingombran di quel loco:
ciò che in somma qua giù perderesti mai
là su salendo ritrovar potrai.
In questo passo il poema si colma di cristianità in un'originale dimensione fantastica: a cercare il Senno smarrito, Astolfo ci andò guidato da Dio e fu proprio San Giovanni Evangelista a battezzare questo viaggio, intimandogli con decisione: "devi prestare aiuto a re Carlo e a come la Santa Fede togliere dalla situazione di pericolo”. Ma Orlando cercava un sogno individuale, valori cristiani e cavallereschi non gli bastano più, per questo fu punito e privato tre lunghi mesi della facoltà di ragionare. Mettendo a rischio la cristianità e la difesa dell’Imperatore, non poté comunque godere d'incantevole Angelica, che invece aveva bevuto alla Fontana dell’Odio: l’intricatissima trama non consentirà mai ai due di incontrarsi in amore.
Ma questi sono solo piccoli cenni di un'opera dal fascino incommensurabile, il poema ha incantato generazioni di lettori e di scrittori fino al ‘900, quando anche Italo Calvino si è cimentato ad antologizzare l'Orlando Furioso. Intervallando parti di commento e narrazione in prosa ai versi del testo originale, senza rispettare la divisione in canti, l'autore ha sperimentato nel seguire lo ‘zigzag' delle vicende dei personaggi, facilitando, attraverso una lente eclettica, la fruizione del Furioso nel Novecento. Il Furioso di Calvino resta l'opera più appetibile per chi abbia voglia di riscoprire un grande poema cavalleresco dal fascino eterno.