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L’Immaginario di Marco Tirelli si svela al pubblico

Tra disegni di grandi dimensioni, bozzetti, schizzi e diari dell’artista, la mostra di Tirelli all’Istituto Nazionale per la Grafica di Roma invita alla scoperta di un elaborato percorso creativo.
A cura di Gabriella Valente
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MarcoTirelli

Una mostra su carta di sorprendente intensità, allestita nelle sale di Palazzo Poli fino al 5 maggio, racconta l’iter creativo di Marco Tirelli (1956), pittore romano – tra i convocati per il Padiglione Italia della prossima Biennale di Venezia -, che da anni è sull’onda del successo.

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In un percorso a ritroso, che parte dai disegni di grandi dimensioni, passa per i bozzetti e arriva ai diari che conservano schizzi e impressioni dell’autore, l’immaginario di Marco Tirelli si rivela al pubblico nella sua infinita e inaspettata ricchezza. Sono tutte opere su carta quelle della mostra “Immaginario” e permettono di scoprire il variegato mondo di forme, pensieri e suggestioni che si nasconde dietro le più celebri immagini metafisiche ed essenziali del pittore romano.

Marco Tirelli è infatti noto per la sua pittura ideale, rarefatta, dall’atmosfera metafisica, dove forme geometriche, oggetti scultorei e elementi architettonici, rappresentati in uno spazio vuoto, emergono dalla superficie del quadro in un trompe-l’oeil perfetto e spiazzante, e fluttuano come sospesi nel silenzio di una visione che risulta insieme tangibile e immateriale. Contemplando questi dipinti, evocatori di una dimensione altra, lo spettatore, frustrato ma incantato da una tridimensionalità ingannevole, si perde nelle infinite gradazioni di grigio che accompagnano l’occhio dal nero di un buio assoluto al bianco di una luce rivelatrice, creatrice, come lo sguardo, di queste forme potenti e della realtà tutta.

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Difficile supporre che dietro rappresentazioni così essenziali, così asciutte ed astratte, vi sia un immaginario tanto ricco e articolato. Invece, l’allestimento alla Calcografia svela ed espone proprio l’universo erudito e vasto dell’arte di Marco Tirelli, mostrando in disegni, appunti verbali e tavole fotografiche l’enorme archivio di forme e concetti da cui l’artista si lascia ispirare. Guardando i diari si scoprono, ad esempio, schizzi e progetti di vario genere, insieme ad appunti che citano Giotto, Rembrandt, Piranesi, De Chirico, El Lissitzky, LeWitt, e che dichiarano dunque studi sulle opere d’arte del passato. Le tavole fotografiche composte per la mostra presentano in maniera eloquente l’archivio di immagini del maestro: illustrazioni di oggetti d’epoca, oggetti d’uso quotidiano, architetture, scale, interni domestici, mappe, strumenti scientifici, clessidre, animali… Il “serbatoio d’immagini” del pittore è indubbiamente vasto, tutto può entrare a farvi parte: “mi sento un raccoglitore di oggetti di confine, trovati tra l’abisso del nonsenso e la luce del desiderio: sono lì come rovine, sottratti al flusso interiore, distillati di vita e di memoria. Sono lì tra il passato e il possibile, in attesa di essere fecondati da nuovi sguardi”. La realtà, dunque gli oggetti, non esistono di per sé, ma in relazione a uno sguardo che li attiva, a un ricordo che li recupera; e l’artista si fa artefice di questa ri-creazione.

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Centinaia di disegni di diverse dimensioni popolano le pareti della sala centrale, formando quasi dei polittici: il disegno costituisce la fase intermedia del processo creativo del nostro artista ed è quella che lui definisce “la parte sommersa” del suo lavoro. La moltitudine dell’immaginario del pittore è resa qui in maniera efficace e suggestiva, con un affollamento ordinato di disegni che circondano completamente il visitatore. Anche in questo caso, i soggetti risultano estremamente vari: dettagli anatomici di corpi umani, elementi architettonici, monocromi, animali, strumenti scientifici, mappe e così via. Con colori che oltre al bianco, al nero e al grigio, in qualche caso toccano sfumature di terra, di azzurro o di verde, questi bellissimi disegni, rispetto ai grandi dipinti, mostrano un Tirelli più materico, più gestuale, più reale.

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“Un processo di sintesi, di riduzione a trovare una forma essenziale, ideale, quasi platonica” sarà infine necessario per ‘riassumere’ le diverse figure, archiviate e analizzate, in un’unica forma quasi astratta, protagonista delle opere di grandi dimensioni. In particolare è la geometria il mezzo che consente all’artista di sintetizzare l’immagine, di arrivare all’essenza della forma. Una volta asciugato e filtrato il variegato immaginario, ecco che nascono quelle visioni potenti e profonde dei disegni di grande formato in mostra. In bianco, nero, grigio, emergono dalle superfici, come da un abisso, figure geometriche, volumi sinuosi, strutture architettoniche o oggetti indefiniti, posizionati silenziosamente in un astratto spazio vuoto, che, se da un lato conferisce un tono irreale alla visione, dall’altro riesce ad accentuare la fisicità dell’oggetto, creando quell’effetto magico e perturbante che è la cifra distintiva e il valore delle opere di Marco Tirelli.

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