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“L’economia è il Nostro Dio”: Roberto Esposito presenta “Due”.

Abbiamo incontrato Roberto Esposito, filosofo napoletano che ci ha parlato del suo nuovo saggio “Due”, una ricerca su come le istituzioni politiche di oggi funzionano su antichi meccanismi di potere religioso che condizionano le nostre vite.
A cura di Luca Marangolo
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Il Novecento, si sa, ha cambiato in modo radicale la nostra percezione della vita e della società. Una delle sue più grandi conquiste è stata l’intuizione che il potere religioso e il potere politico funzionano con meccanismi simili.

Il potere è infatti qualcosa di sacro e cioè, etimologicamente, qualcosa di diviso dal resto, che agisce dall’alto come Dio:  in questo senso è simile a Dio. Questa tesi, enunciata da Carl Schmitt in maniera radicale, è stata declinata in molti modi, dando vita a un dibattito complesso, il dibattito, appunto, sulla teologia politica, che, grazie alla ricostruzione di Roberto Esposito, acquisisce un’attualità notevole.

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Se infatti questo meccanismo di potere per cui una parte della comunità è esclusa  – affinchè una sola persona, come Dio, o un piccolo gruppo di persone, possa elevarsi al di sopra degli altri – un tempo aveva un volto, era riconoscibile e trovava la sua incarnazione in Sovrani, Papi e potenti vari, ormai non è più così, e questo meccanismo, alla base della organizzazione politica della società, nonostante il crollo dei poteri assoluti e la grande crisi delle narrazioni religiose, non si è affatto  arrestato.

Anzi, la tesi di Roberto Esposito è che ci sono delle forme di potere che continuano a perpetrare questo dispositivo, questo meccanismo per cui, affinché una parte della società si elevi, ce ne deve essere un’altra in difficoltà. Ecco perché il titolo“Due”: dove c’è potere, per Esposito, c’è una divisione, fra chi comanda e chi è assoggettato. Ne consegue che noi tutti siamo dentro un sistema per cui, esattamente come in una pratica religiosa, esattamente come in un rito basato sul senso di colpa, su un insieme di rapporti sociali e di potere che diamo per scontati come se ne fossimo responsabili, veniamo dominati.

Il meccanismo “teologico” su cui si fonda il potere, per Esposito, è per l’appunto l’Economia: l’Economia mondiale, e quella europea in particolare, si fondano essenzialmente su un sistema di rapporti di potere che non possiamo far altro che accettare, ereditati dal passato e che riteniamo intoccabili, accettiamo come qualcosa che viene dall’alto, come una colpa da espiare e che pesa su di noi come se ne avessimo una effettiva responsabilità.

In realtà il punto è che questo sistema di rapporti di potere ha un’origine antica, esattamente nel rapporto politico che legava il sovrano ai sudditi o il prete confessore ai fedeli:  per mantenere insieme la  comunità, che essa sia quella Europea o quella monetaria mondiale, il G20, Il G8 o altre forme di essa, si creano dei rapporti di debito e di credito, un senso di emergenza che si potrebbe evitare se non fosse che il sentire collettivo ci spinge a ritenere di doverlo sobbarcare su noi stessi.

Tali rapporti politici sono ormai estesi a livello globale: in tutto il mondo noi siamo immersi in un insieme di rapporti per cui tutti devono qualcosa a qualcun altro: gli stati sono gli uni debitori degli altri in una catena infinita di debiti e crediti che va dai paesi del terzo mondo ai paesi europei, agli Stati Uniti fino alla Cina, e l’idea che la responsabilità di questo debito dissennato sia da attribuirsi alle fasce più ampie della popolazione  è esattamente espressione, per Esposito, di questo meccanismo religioso, antichissimo, per cui il potere politico, per sopravvivere, fa ricadere il peso della responsabilità di pochi sulla moltitudine.

Il potere dunque oggi è qualcosa di impalpabile, che si incarna solo occasionalmente in qualcuno il quale, trovandosi per sua fortuna dal lato giusto della storia, occasionalmente se ne approfitta. Esso è dunque, alla luce di questa indagine, prima di tutto una pratica, volta ad escludere  sistematicamente una parte della popolazione per  addossare su di essa la responsabilità delle proprie contraddizioni.

Il capitalismo, il fine principale per cui oggi agiscono questi meccanismi di potere, è prima di tutto una pratica che noi diamo per scontata, perché quotidiana: una grande macchina teologica,  un qualcosa di talmente necessario e consustanziale alla nostra vita da risultare inevitabile. In realtà non è così, ed esistono pratiche basate sulla gratuità che,  sembra dire Esposito, sono altrettanto radicali e innate nell’essere umano. Non dare voce a queste ultime, rimanere quiescenti di fronte alla cultura del capitalismo, rischia di portarci all’autodistruzione.

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