L’Atlante delle stragi nazifasciste, il portale digitale della nostra memoria
Da quando la storia ha incontrato il digitale, modificando l’accesso alle fonti e i moduli narrativi, diventa sempre più urgente domandarsi quale sia l’impatto sulle forme tradizionali di divulgazione del passato e se non sia necessario rivedere il rapporto tra questo e il presente, all’interno della sempre più conflittuale relazione tra storia e memoria.
Internet ha eroso la ferrea distinzione tra la ricerca accademica e il racconto pubblico, rendendo accessibile una mole sterminata di documenti a chiunque entri in rete. Inoltre, la scrittura nel web, blog e social media, permette un’interazione tra chi scrive (non sempre competente) e chi legge (non sempre incompetente), intrecciando interventi critici o suggerimenti all’utilizzo senza mediazioni scientifiche di altre fonti trovate in giro nella rete. Il web 2.0, grazie alla possibilità di attivare partecipazione a distanza, ha creato un canale popolare di accesso alla “cultura alta” che solo in qualche caso è filtrato dagli storici di professione. Può capitare allora che, senza il giusto raccordo, storia e memoria, sfuggite al controllo della comunità scientifica, divengano oggetti su cui esercitare pratiche di scrittura partecipativa i cui esiti sono lontani dalla ricerca storica.
Il ricorso al sapere comunitario e la partecipazione pubblica alla rete – il cosiddetto crowdsourcing – può, tuttavia, avere dei risvolti positivi se gli storici attuano forme di lavoro collaborativo chiedendo, a chi possiede conoscenze e fonti primarie, di interagire per completare gli archivi multimediali con propri documenti.
Eppure il passato che diventa narrazione pubblica nel presente rischia di diminuire, per lo storico che non è in grado di dominare le mutazioni digitali, l’autorevolezza della ricerca scientifica, sepolta da una valanga di documenti multimediali, già noti e privi di valore (se non proprio falsificati), diffusi su innumerevoli piattaforme attraverso l’esercizio dello sharing online.
Purtroppo, l’assenza di una reale conoscenza delle dinamiche digitali da parte degli storici accademici potrebbe privarli della possibilità di intervenire nel filtrare i discorsi pubblici in rete. In questo modo, saremmo circondati da forme di narrazione del passato elaborate senza il dovuto distacco o la giusta attenzione critica. Le memorie familiari, con materiali e documenti scoperti in casa, possono essere oggi facilmente condivise con il risultato di propagandare una pseudo storia privata della necessaria contestualizzazione temporale. La memoria in rete non è più distante e storicizzata, è piuttosto un’emozione che appiattisce il passato sull’oggi, reiterando un eterno presente.
Per garantire il dovuto distacco, filtrare, mediare e organizzare le fonti, collegare comunità e pubblici diversi, indirizzare la ricerca verso le potenzialità delle tecnologie digitali, c’è bisogno di una generazione di nuovi storici, che potremo chiamare “storici pubblici digitali” (digital public historian), capaci di intermediare professionalmente il bisogno di storia, inquadrare scientificamente la raccolta dei documenti digitali e gestire criticamente gli archivi virtuali realizzati grazie alla condivisione del pubblico interconnesso.
La presenza di storia e di memoria pubblica digitale in Italia è ingente. Sono diversi i livelli scientifici e le tipologie di narrazione: profili biografici familiari (Trento in Cina); Riccione durante la guerra (La città invisibile); memorie private videoregistrate (Memoro. La banca della memoria); memorie collettive della guerra civile (Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana); storia politica (l'Istituto don Luigi Sturzo); Bologna e i suoi archivi (Città degli archivi); il Luce con i suoi partner nazionali ed europei; fino ad arrivare al portale Ehps (Fonti primarie per la storia europea) realizzato dall’Istituto universitario europeo di Firenze. Quest’ultimo fornisce un indice facilmente accessibile di archivi digitali: dalle principali biblioteche pubbliche nazionali alla miriade di risorse elettroniche create da fondazioni, associazioni e istituti culturali privati.
Sicuramente appartiene alla categoria della storia pubblica digitale l’Atlante delle stragi nazifasciste. Nel 2009 il governo italiano e quello della Repubblica Federale Tedesca hanno insediato una Commissione (composta da 5 membri tedeschi e 5 membri italiani) per elaborare un’analisi critica della storia e dell’esperienza comune durante la seconda guerra mondiale, con l’intento di tessere una congiunta trama della memoria. Nel 2012, a conclusione dei lavori, ha finanziato il “Fondo italo-tedesco per il futuro” promuovendo alcuni studi, tra cui la ricostruzione delle stragi nazifasciste.
Un primo aspetto significativo: dopo il confronto bilaterale solo la Germania ha avuto il “coraggio” di affrontare il giudizio della storia, investendo denaro a favore della ricerca scientifica. Il progetto, realizzato dall’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia (INSMLI) e dall’Associazione nazionale partigiani d’Italia (ANPI), ha consentito di tracciare una mappa completa degli episodi di violenza contro i civili commessi dall’esercito tedesco e dai suoi alleati fascisti in Italia tra il 1943 e il 1945.
L’Atlante è imperniato su una banca dati, con materiali di corredo (documenti, foto e video) relazionati agli episodi censiti, ospitata all’interno di un sito web. Sono state catalogate e analizzate tutte le stragi e gli omicidi di singoli civili e partigiani uccisi al di fuori dello scontro armato, commessi da reparti tedeschi e della Repubblica Sociale Italiana dopo l’8 settembre 1943. Si parte dalle prime uccisioni nel Meridione e si arriva alle stragi compiute, durante la ritirata, in Piemonte, Lombardia e Trentino Alto Adige nei giorni successivi alla liberazione. «L’elaborazione su base cronologica e geografica dell’insieme dei dati censiti ha consentito la definizione di una ‘cronografia della guerra nazista in Italia’, che mette in correlazione modalità, autori, tempi e luoghi della violenza contro gli inermi sul territorio nazionale».
Apriamo la pagina web del portale. La schermata principale ci propone immediatamente una cartina geografica satellitare dell’Italia recante gli aghi di geolocalizzazione. Se passiamo la freccia del mouse sopra i punti segnati ci appare il nome della regione. Se clicchiamo compare un post-it virtuale in cui è segnato il numero delle stragi e delle vittime relative a quel territorio con la possibilità di aprire un elenco e la mappa dettagliata dei luoghi in cui sono avvenute le esecuzioni. Successivamente, puntando la freccia su uno degli agi di geolocalizzazione, avremo un link con l’indicazione del paese e della data. Premendo il pulsante del mouse la mappa mostra al visitatore, nella stessa pagina, la precisa collocazione dell’eccidio e un elenco riassuntivo in cui sono segnate le informazioni essenziali: località, data, numero di vittime (per genere ed età), modalità di esecuzione, violenze connesse e accessorie, tipo di massacro, documentazione giudiziaria (in caso vi sia stato un processo) ed eventuali annotazioni.
Inoltre, si può scaricare un file pdf con una scheda dettagliata realizzata da uno storico che ha studiato l’intera vicenda: dal contesto in cui è maturata la tragedia alle testimonianze dei sopravvissuti con i vari depositi di memorie private e pubbliche. Per comprendere il tipo di lavoro realizzato basta ricordare che al progetto hanno collaborato 90 ricercatori, tra storici accademici affermati (per esempio la scheda di Sant’Anna a Stazzema è stata curata da Paolo Pezzino) e public historians, tra i quali è stato suddiviso il compito di ricostruire i singoli episodi, confluiti, poi, in una banca dati digitale grazie alla quale è stato possibile disegnare la mappa delle stragi.
Non si tratta di un mero lavoro quantitativo perché le violenze perpetrate contro la popolazione inerme sono collegate agli obiettivi che l’esercito tedesco si poneva nei diversi tempi e spazi della guerra in Italia. Fra questi: «la lotta contro gruppi di resistenza armata, considerati – in particolare quelli di matrice comunista – promotori di una guerra per bande illegittima e irregolare…; le campagne di punizione degli oppositori politici; il disegno di sfruttamento delle risorse umane ed economiche, attuato attraverso i rastrellamenti e la deportazione di civili inviati al lavoro coatto; le operazioni di ripulitura del territorio in prossimità delle linee difensive e dei percorsi della ritirata; il rapporto di collaborazione con uomini e strutture repressive e amministrative della Repubblica sociale, a volte protagonisti di una propria autonoma strategia stragista».
Nel menu a tendina in alto a destra si possono scorrere le statistiche contenute dalla banca dati, visionare le sentenze giudiziarie, conoscere i luoghi della memoria, le associazioni e i comitati dedicati alle stragi e i materiali documentari e celebrativi (foto, giornali fascisti, monumenti, targhe, cippi, colonne, lapidi, pannelli, musei, parchi storici ecc.).
Dalla sintesi nazionale è sempre possibile arrivare al dettaglio locale con approfondimenti tematici: i reparti militari coinvolti nelle azioni, l’età e il genere delle vittime, la matrice della strage, le modalità di esecuzione, il tipo di massacro, la tipologia di vittima, il numero delle vittime, il trattamento dei cadaveri, le violenze connesse e persino gli episodi dubbi o incerti. Ogni sezione è corredata da una bibliografia di riferimento, dando al portale anche il valore di biblioteca digitale sulla storiografia della Resistenza.
Così scopriamo che: il numero maggiore di vittime di cui è stata accertata l’età ha più di 55 anni (2623); le vittime di genere maschile sono 19169; le stragi di matrice nazista sono 3371; le stragi condotte con arme da fuoco sono 2610; la maggioranza dei massacri (1682) deriva da un rastrellamento; i civili uccisi in 3158 stragi sono 12677; il totale delle vittime, su 5566 stragi, è di 23419.
In conclusione, l’Atlante delle stragi nazifasciste è un esempio di storia pubblica digitale in cui la collaborazione tra storici, stake holders della memoria e comunità locali ha trovato il giusto equilibrio tra cultura accademica, reminiscenza popolare, celebrazioni istituzionali e testimonianze del passato. L’impatto con il digitale in questo caso non ha abolito le pratiche sperimentate sul territorio né le ha divise dalla narrazione in rete, anzi le ha esaltate grazie al contestualizzazione affidata a storici di professione che non disdegnano l’utilizzo gli strumenti della comunicazione multimediale.
La ricostruzione virtuale soddisfa la domanda di storia sia dei pubblici tradizionali (abituati al testo scritto), sia di quelli prevalentemente interconnessi (attratti dalle immagini e dall’uso intuitivo di strutture cibernetiche) con professionalità e linguaggi che hanno aumentato le loro potenzialità tramite l’aggancio alla rete. Il passaggio all’era digitale ha un valore aggiuntivo quando affina la public history, ovvero quando interpreta con competenza scientifica il passato di specifiche comunità divulgando la storia e le memorie con tutti i media a disposizione.