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L’arte è oltre la soglia: Giulio Paolini racconta l’attesa dell’immagine

Il maestro dell’arte concettuale italiana, dopo una lunga pausa dall’attività espositiva, è in mostra a Roma, alla galleria Giacomo Guidi. Con lavori recenti, torna a proporre i suoi ‘cortocircuiti concettuali’, riflettendo sull’arte e sulle sue (im)possibilità.
A cura di Gabriella Valente
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Qui e ora (15 febbraio 2013)

Si intitola “Sulla soglia” la mostra che Giulio Paolini ha preparato per Giacomo Guidi Arte Contemporanea negli eleganti spazi espositivi di Palazzo Sforza Cesarini. Forse, di primo acchito, la mostra non sembra semplice a comprendersi con immediatezza, ma a ben guardare si scoprirà un affascinante universo di significati coerenti e pregnanti, come d’altronde accade con la produzione tutta dell’artista, massimo esponente dell’arte concettuale italiana dagli anni ’60 ad oggi.

Studio per “Sulla soglia” (Recto Verso)

L’idea dell’esposizione è tratta dal libro realizzato dall’artista nel 2012 e intitolato significativamente “L’autore che credeva di esistere”. Sin dalla premessa, Paolini enuclea le conclusioni alle quali è giunto nel corso della sua cinquantennale carriera, le ragioni fondamentali della propria poetica, le motivazioni dei suoi concettualismi. È in particolare il secondo capitolo, il saggio “Sulla soglia”, ad aver ispirato la mostra romana. L’artista parla di una soglia che è confine tra due mondi, limite invalicabile tra la realtà e l’arte, dovuto alla distanza tra sé e il mondo: “Porsi in rapporto diretto col mondo è condizione peraltro inutile da accertare: l’autore che volesse riflettere e interpretare la realtà si accorgerebbe, prima o poi, dell’impedimento dovuto alla ovvia impossibilità di attuare ‘in tempo reale’ tale coincidenza”.

Ecco come si spiega la natura inconsueta delle opere di Giulio Paolini, che invece di fornire immagini definite, appaiono piuttosto come concetti in divenire sull’arte: esse sono la rappresentazione dell’attesa dell’immagine, la visualizzazione di idee in fieri, la creazione di luoghi per la rivelazione dell’opera; un’opera che tuttavia mai si rivelerà nella sua vera essenza, perché, preesistente all’autore e allo spettatore, vive al di là di quella soglia invalicabile: “L’ospite, sulla soglia, non entra e non esce: resta a osservare, si ferma a guardare… Riuscirà a vedere?”.

Al centro della sala principale della galleria romana, un agglomerato apparentemente caotico e precario di strumenti e materiali dell’artista va a formare “Qui e ora (Roma, 15 febbraio 2013)”, l’installazione che fa riferimento al giorno d’inaugurazione della mostra: “oggetti d’affezione”, cornici, telai, cavalletti, leggii, immagini fotografiche, una clessidra, una matita, sono i mezzi dell’arte cui Giulio Paolini ha da sempre attribuito un ruolo da protagonista. Questo insieme di strumenti rappresenta un momento preliminare alla creazione dell’opera, un’opera in fieri quindi, ovvero il presente in cui scorgere indizi di un possibile futuro, dove quegli elementi indefiniti potrebbero “trovare il loro titolo e la loro legittimità di opera”.

Sulla soglia

Sulla parete di fondo si ammira “Sulla soglia”, una enorme tela al centro della quale è praticamente incassato il calco della testa dell’Apollo Parnòpios, in gesso patinato color bronzo dorato, posto su un piedistallo. Il volto dell’Apollo, celato allo spettatore, trapassa la superficie della tela, sulla quale, proprio a partire dal calco, si dipartono linee dorate che si intersecano a formare dei riquadri e che proseguono a matita fin sulla parete. L’artista ha dunque messo in scena la soglia ed il suo auspicato attraversamento: l’Apollo è posizionato esattamente sul confine tra realtà e rappresentazione, mettendo in pratica le aspirazioni, irrealizzabili, di spettatore e autore. Se pensiamo che già nel 1985 Paolini aveva realizzato un lavoro (“Intervallo”) in cui un calco della testa dell’Athena Lemnia era incassato in una parete, mentre un secondo calco identico contemplava il suo doppio da dietro, noteremo come l’artista abbia sostituito il secondo calco con lo spettatore stesso, volendo così sollecitare un maggiore coinvolgimento e attivare relazioni sempre più elaborate tra opera, autore e spettatore.

Il valore dell'arte, per Paolini, si gioca proprio su questo tipo di relazioni, sulla loro indagine e la loro messinscena: da sempre il nostro autore che credeva di esistere ha esposto cornici vuote, tele bianche, fogli da disegno, calchi in gesso, riproduzioni di opere antiche, nel tentativo di riflettere sulla natura stessa dell’arte e sulle sue dinamiche di manifestazione. La poetica di Paolini adotta infatti un metalinguaggio, usa l’arte per indagare l’arte e i meccanismi di creazione, visione, fruizione dell’opera. Affatto autoreferenziale, l’arte di Paolini riflette su di sé e si riflette spesso nella sua rappresentazione duplicata.

Giovane che guarda Lorenzo Lotto

In questa indagine dunque l’attenzione è concentrata su colui che guarda e il senso del quadro non sta nell’immagine che ci mostra, ma nel fatto che qualcuno lo osserva. Inoltre, la figura dello spettatore ormai si fonde con quella dell’autore stesso, che, impossibilitato a cogliere il segreto dell’opera d’arte, ambisce a diventare egli stesso ‘spettatore in attesa’. Emblematico a tal proposito è il celebre lavoro del 1967, “Giovane che guarda Lorenzo Lotto”, per il quale Paolini ha realizzato una riproduzione fotografica di un “Ritratto di giovane” dipinto dal Lotto nel 1505 e, modificandone il titolo, ne ha completamente alterato il senso: il lavoro in questione è la “ricostruzione nello spazio e nel tempo del punto occupato dall’autore (1505) e (ora) dall’osservatore di questo quadro”, spiega Paolini, che, svelando le ovvie dinamiche della pittura, ha sovrapposto la sua figura con quella del pittore cinquecentesco e con quella di ogni osservatore che guarderà l’opera.

In ascolto

Tornando all’ospite citato all’inizio, che, sulla soglia, resta a osservare… Cosa potrebbe vedere? Non il segreto dell’opera, quello gli è negato; ma di certo i meccanismi della sua manifestazione, ovvero gli strumenti dell’arte e i suoi codici, la parte esteriore, ma per Paolini la più interessante, dell’arte: “Quel che lo affascina di più non è far apparire l’una o l’altra cosa, ma scoprire il modo in cui quella o quell’altra cosa potrebbero calarsi sullo schermo del quadro, intendendo il quadro come apparato di suggestioni, d’illusioni predisposte a configurare un’immagine”. L’“inquadratura” è il “passaggio essenziale che ogni oggetto deve compiere per essere percepito come pura rappresentazione”. Gli undici collage in mostra hanno perlopiù come tema il “teatro dell’opera”, palcoscenico dove potrebbe avvenire la rivelazione dell’opera d’arte: ed ecco raffigurazioni di stanze vuote, di cornici, di sedie, elementi legati all’idea di rappresentazione, che diventano qui simboli dell’attesa di una tanto sperata quanto improbabile apparizione dell’immagine.

Dunque la ricerca dell'autore è destinata a non ottenere i risultati attesi: "Mi sento come una persona che si aggira nel vuoto, che però non sa rinunciare a descriverlo", ha affermato una volta Giulio Paolini. Eppure nel suo ‘vagare', egli ha aperto infinite strade di riflessione sull'arte, nuove linee di ricerca e di espressione, al punto da essere riconosciuto nel panorama artistico mondiale come uno dei maestri principali dell'arte concettuale.

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