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L’amore, rivoluzionario per sua essenza

Nel nostro tempo dell’egoismo cinico, l’amore è la più radicale messa in discussione del fondamento stesso della falsità universale. Da Bauman a Sant’Agostino, breve storia filosofica del sentimento più rivoluzionario che ci sia.
A cura di Diego Fusaro
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Dettaglio da "Il bacio" di Klimt
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Forse non v’è nulla di più rivoluzionario, oggi, dell’amore. Nel nostro tempo della miseria e dell’egoismo cinico, l’amore è, per sua essenza, la più radicale messa in discussione del fondamento stesso della falsità universale oggi dilagante: è puro altruismo donativo, è pura apertura all’altro affinché l’altro sia. Non v’è amore ove vi sia interesse personale, utile, guadagno.

È anche per questo, forse, che la nostra epoca che tutto pretende di sapere e di fare non conosce l’amore: se non nelle sue forme surrogate (“liquide”, come usava dire Bauman), che in verità poco o nulla hanno a che fare col vero amore, essendo invece figure dell’egoismo in cui l’altro compare come semplice strumento in funzione del piacere e del godimento dell’io stesso.

Una delle più magnifiche definizioni dell’amore che la tradizione occidentale ci abbia consegnato è quella di Agostino di Ippona: “volo ut sis”, dice Agostino (“Confessioni”, VI, 7, 12). “Voglio che tu sia”: voglio che tu sia quel che sei. Questa è la cifra segreta del sentimento d’amore: nessuna riduzione dell’altro a sé, nessun possesso, nessun annullamento della differenza, nessuna perdita di sé nell’altro. Tutto il contrario: pura donatività, l’altruismo assoluto, l’apertura totale verso l’altro, affinché esso possa essere pienamente.

L’amore, in questo senso, è un’apertura duale al mondo: non annulla la distanza, ma la custodisce. Non annienta l’alterità dell’amato, ma la fa esistere, preservandola e valorizzandola al grado massimo. Per questo, l’amore non è riduzione all’unità – secondo l’ennesima forma dell’egoismo individualistico e possessivo – ma rispetto della differenza e dell’alterità: è cura della distanza.

L’amore è, per così dire, un tempio la cui unità è garantita dal fatto che esso si regge su colonne distinte, su una dualità insopprimibile che fa vedere il mondo in modo nuovo. Ne scaturisce, così, un “noi” in cui non ci si annulla, ma in cui si mette in comune la propria autonomia: ci si prende cura dell’altro, evitando però di cadere nell’ “egoismo a due”, come lo chiamava Eric Fromm. Essere veri rivoluzionari, oggi, significa anzitutto saper amare.

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Sono nato a Torino nel 1983 e insegno Storia della filosofia in Università. Mi considero allievo indipendente di Hegel e di Marx. Intellettuale dissidente e non allineato, sono al di là di destra e sinistra, convinto che occorra continuare nella lotta politica e culturale che fu di Marx e di Gramsci, in nome dell’emancipazione umana e dei diritti sociali. Resto convinto che, in ogni ambito, la via regia consista nel pensare con la propria testa, senza curarsi dell’opinione pubblica e del coro virtuoso del politicamente corretto.
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