L’Amore, in cinque bellissime opere filosofiche da leggere per San Valentino
“Processo di integrazione di istanze pulsionali ed emotive in grado di stabilire legami intersoggettivi”: una definizione apparentemente semplice da trovare, quella per l'amore. Amore, un sentimento tanto illogico quanto reale nei suoi effetti, sul quale gli intellettuali e i filosofi di ogni epoca si sono interrogati con rigore: perché in quanto sentimento, esso è forse ciò che meglio caratterizza, plasma e definisce l'uomo stesso. Amore come mancanza, come sofferenza, come dovere morale e come rivoluzione politica: ecco cinque grandi opere che hanno tentato, nei secoli, di definirlo.
Nel Simposio, l'amore incompleto
Il Simposio è forse una delle opere più famose del filosofo ateniese, e di certo quella che più a lungo, nei secoli, ha saputo raccontare l'amore. Un amore metafisico, ideale, quasi rivoluzionario se si pensa che prima di Platone era stato Empedocle a parlarne, ma in chiave “strettamente” cosmologica: da elemento che, in perenne opposizione a odio, muove l'universo ma nulla ha a che fare con l'uomo, con Platone l'amore si trasforma, e diventa qualcosa a metà strada fra umano e divino, fra sentimento e intelletto, fra ideale e reale.
Anzi, è proprio l'amore ad unire queste due sfere: Eros è un demone, è un essere capace di scendere fra gli uomini pur rinnovando costantemente la tensione e l'aspirazione verso l'alto. A spiegarlo è Socrate, in uno dei passi più famosi dell'opera: né completamente Dio né del tutto uomo, non buono né del tutto cattivo, Eros è figlio di Penìa, la Povertà a cui manca sempre qualcosa, e di Pòros, l'Espediente che cerca continuamente il proprio completamento: un amore, che più che semplice sentimento con Platone diviene chiave ermeneutica della condizione umana, sempre in cerca di qualcosa, da migliaia di anni.
L'amore angoscioso, nel “Diario di un seduttore”
Pubblicata nel 1843, quest'opera di Søren Kierkegaard potrebbe sembrare, ad un primo sguardo, inadatta a descrivere un sentimento così puro e innocente quale quello amoroso. Fin dal titolo, il “Diario di un seduttore” lascia intuire come l'amore, per il filosofo danese, si inscriva in un discorso più complesso e tragico relativo al destino, anzi alla “vita” stessa dell'uomo.
L'amore seduttivo, quello cioè che non fa del possesso, bensì del tentativo irrisolto di legare qualcuno a sé, il proprio principio vitale, è espressione di un altro sentimento che Kierkegaard ben conosceva: l'angoscia, quell' “Aut Aut” che lega anche l'amore al dilemma esistenziale del “e se non?”, quello stesso amore che il filosofo aveva rifiutato, pur cercando disperatamente di farlo suo, anni addietro. Vita reale, romanzo e riflessione filosofica si fondono in quest'opera per restituire un concetto di amore incompleto, ma che proprio per la sua incompletezza resta il solo ad essere umano.
L'amore come impegno e come “arte”, per Erich Fromm
Questo saggio del 1957 può essere considerato uno dei più importanti dell'epoca moderna, in quanto cerca di analizzare l'amore non soltanto dal punto di vista ideale, concettuale, ma anche dal punto di vista soggettivo e psicologico. Ne “L'arte di Amare” è racchiuso lo scontro epocale fra modernità e sentimento amoroso: per Erich Fromm l'amore resta necessario, si fa arte, e in quanto tale non può che richiedere sforzo, pazienza, umiltà e profonda dedizione.
Un amore che non sia “attivo”, che non sia perenne “volontà di amare” non è pensabile nella società odierna: un amore di questo genere ha vita, senso e forza soltanto nell'atto stesso di dare, e non di possedere. Perché “nello stesso atto di dare che l'uomo prova la sua forza, la sua ricchezza e il suo potere. Questa sensazione di vitalità e di potenza mi riempie di gioia. Mi sento traboccante di vita e di felicità. Dare dà più gioia che ricevere, non perché è privazione, ma perché in quell'atto mi sento vivo”.
Roland Barthes, e i frammenti dell'amore
Negli anni Settanta, quando la celeberrima opera del semiologo Roland Barthes viene pubblicata, non c'è più spazio per il discorso amoroso. Non è più possibile pensare di parlare dell'amore, di caratterizzare l'io e l'altro in un'unità inscindibile: lo stesso sentimento d'amore è andato in frantumi, sparpagliandosi in mille pezzi solitari e disuniti. Gli stessi amanti non comunicano più. Un discorso solitario, “di estrema solitudine” lo definisce Barthes, che nonostante questo carattere di incompletezza è proprio attraverso di essa che prende nuova forma e viene portato avanti: attraverso frammenti letterari, filosofici, poetici, Roland Barthes ci parla di “gelosia”, di “dipendenza”, di “attesa” e di “rimpianti”, quasi come se dell'amore oggi non rimanessero altro che parole.
Badiou: Amore è Rivoluzione
Quando scrive il suo bellissimo “Elogio dell'Amore” Alain Badiou ha settantacinque anni. E lo fa con una forza, una lucidità e un coraggio che probabilmente mancano alla maggior parte dei ventenni di oggi: ma forse perché a vent'anni l'amore non può essere che ricerca di se stessi, della propria strada interiore. Una strada che col tempo conduce però, come spiega lo stesso Badiou, a realizzare che l'amore può essere altro da noi: l'amore, in quanto tale, è piuttosto riconoscimento dell'altro.
Lo sconvolgimento amoroso a cosa altro può essere dovuto, se non all'irruzione violenta dell'altro in noi? Il toccante Elogio di Badiou trasforma (o fa tornare ad essere) l'amore in qualcosa di rivoluzionario: "L’amore è l’esempio più chiaro di verità. Inizia con un incontro cui non si dà peso, ma solo più tardi ci si rende conto della sua importanza. Lo stesso avviene con la scienza: si scopre qualcosa di inaspettato, come le montagne sulla Luna, e poi ci si deve appellare alla matematica per trovare un senso”.