L’amara vicenda della Carocci Editore
Chiunque frequenta l’università italiana, da studente, da ricercatore o da insegnante, in un modo o nell’altro, conosce la Carocci Editore. Si tratta di una società storica, una casa editrice romana che ha prodotto alcune delle pubblicazioni di maggior sostegno all’attività di ricerca e di studio di alto profilo in Italia.
In queste ore, questa casa editrice –molto piccola, ma anche molto affermata nel suo campo- è nel momento più critico della sua storia. Carocci è stata rilevata nel 2009 da un'altra importante casa editoriale, altrettanto storica: “Il Mulino” Editore, una società fra l’altro molto vicina ai valori e alla cultura socialdemocratiche, una casa editrice che si può ben dire sia stata un punto nevralgico del pensiero dominante e della cultura di sinistra degli ultimi vent’anni: una casa editrice per i cui tipi hanno scritto alcuni dei principali membri della classe dirigente italiana e che ha tradotto i maggiori pensatori marxisti del Novecento.
Di recente “Il Mulino”, o meglio la società finanziaria che controlla entrambe le Case, la Edifin, ha avviato una revisione dell'organico della società romana: 17 dei 32 dipendenti della Carocci saranno licenziati. Carocci, come il Mulino, e come è accaduto ad altre società che fanno parte di quel folto e complesso sottobosco di case editrici piccole in Italia -che garantiscono il pluralismo, garantiscono qualità, attenzione ai settori scientifici specialistici- è in perdita.
Ma per quale motivo è in perdita? Leggiamo alcuni passi di una lettera aperta che i dipendenti della Carocci hanno scritto pochi giorni fa ai loro colleghi de "il Mulino" (20 Dicembre) per cercare di andare a fondo alla questione.
“Gentile presidente, gentili soci, noi lavoratori della Carocci Editore ci rivolgiamo a voi nella certezza di trovare ascolto e il conforto di una sensibilità ben diversa da quella degli interlocutori con cui ci siamo sinora confrontati in questa difficile vertenza. Siamo ben consapevoli della crisi del mondo editoriale, ma la nostra era nel 2009 un'azienda sana e prestigiosa, che ha poi subìto i colpi della cattiva gestione. Non un progetto culturale, non un programma in cui si individuassero obiettivi e strategie, non un piano industriale serio”.
E ancora: “Osteggiato un qualsiasi coordinamento editoriale, per non parlare dell'assenza di una direzione commerciale, delle politiche sciagurate attuate in materia di promozione e distribuzione, dell'assenza di formazione specifica del personale e della mancanza di iniziativa nel mondo del digitale, fino agli improponibili – talvolta – prezzi di copertina.”
Sono gravissime accuse che, in modo argomentato e preciso, diagnosticano le ragioni della crisi: queste risiedono, a parere dei dipendenti, nelle scelte degli stessi autori di questi clamorosi tagli. Le scelte di coloro che, dal 2009, hanno diretto la Carocci, l’hanno prima gestita male e poi hanno fatto sì che a pagare il prezzo della crisi economica siano gli storici dipendenti della società.
Stiamo parlando della stessa dinamica che interessa, di solito, aziende di natura profondamente diversa: il procedimento per cui una società, per salvarsi, ne affossa un'altra, è qualcosa di simile a ciò che è avvenuto durante i licenziamenti di massa negli Stati Uniti, dopo la crisi dei mutui del Subprime, e che da allora sembra endemica della politica industriale, che brancola nel buio.
C’è stata risposta, da parte dell’amministrazione, a queste pesanti accuse? Di fatto non c'è stata, se non nella persona dell’Ad di Carocci Giuliano Bassani, il quale, con dichiarazioni molto scarne, poco argomentate e frettolose, si era detto disponibile -su più media- a riaprire la trattativa sindacale. Questa trattativa non è stata riaperta, nonostante le pressioni di molte personalità di spicco del mondo della cultura italiana come Asor Rosa, Serianni, Montanari, Prosperi ed uno degli storici fondatori de “Il Mulino”, Luigi Pedrazzi.
Se non si fa qualcosa il 12 Gennaio si procederà al licenziamento della metà dei dipendenti di una casa editrice piccola, ma molto importante, a tutto vantaggio di un’altra azienda che la ha acquistata ma che, per idee, per cultura e per valori politici dovrebbe essere agli antipodi di operazioni come questa. La Carocci è in mobilitazione da circa un mese, chi vuole può informarsi sull'argomento alla pagina facebook della manifestazione.
Quanto è tangibile, alla luce di questo episodio, che il mondo delle ideologie politiche si trova sconfessato nei fatti e disatteso nella pratica, di fronte ad una crisi economica e culturale che non ha precedenti per i suoi connotati e per le forme in cui si esprime? Quanto evidente come sia miope- dal punto di vista industriale-la politica per cui due case editrici d’eccellenza, che dovrebbero sostenersi a vicenda in un mercato difficilissimo, si sfruttano l’una l’altra per sopravvivere? E sopravvivere per quanto tempo, poi, in concorrenza con altri colossi italiani ben noti?
Ognuno è in grado di trarre le sue conclusioni e rispondere, con i personali distinguo, a queste domande: rimane il fatto che una vicenda di tale gravità, con tutti i suoi paradossi, non può rimanere sotto silenzio.