L’altra faccia della moda: la denuncia di uno steet artist polacco
Il 24 aprile 2013 un edificio commerciale nel cuore di Dacca, in Bangladesh, crolla. Si tratta di una delle tragedie più grandi della storia dell’industria tessile, e non solo: più di mille vittime sepolte vive sotto le macerie. All'interno del Rana Plaza c’erano uomini e donne che quel giorno, nonostante i già evidenti cedimenti strutturali dell’edificio e le richieste di evacuazione, erano andati comunque a lavoro.
È questa una delle tante storie raccontate da Igor Dobrowolski in “Fast Fashion”: la street art come denuncia sociale, come mezzo attraverso il quale veicolare le tragedie di migliaia di lavoratori, spesso minorenni, delle industrie tessili del Bangladesh. È questa l’idea di arte del giovane artista polacco, che da anni viaggia in tutta Europa con i suoi enormi cartelloni pubblicitari che lasciano senza parole.
Igor vive e lavora a Varsavia, la sua città natale, ma quest’anno ha portato i suoi lavori a Berlino, affiggendo numerosi manifesti su ciò che resta del Muro. Le didascalie dei suoi lavori sul suo sito personale, su Facebook e su Instagram parlano chiaro: “Il numero di morti aumenta, e anche i guadagni delle imprese”. E anche le immagini parlano da sole: si tratta dell’altro lato del fashion, delle vite sfruttate nascoste dietro i grandi marchi della moda. La denuncia di Igor è forte: salari sempre più bassi per stare dietro alle esigenze del committente, condizioni di lavoro disumane senza tutela né sicurezza, e zero rispetto per l’ambiente.
Le opere di Dobrowolski all'occhio distratto dei passanti potrebbero sembrare dei semplici cartelloni pubblicitari: in realtà a ben guardare si tratta di opere dal forte contenuto critico, che affianca alle famosissime immagini utilizzate da marchi come H&M, Zara, Chanel e Dior fotografie che ritraggono le tragedie dei lavoratori tessili che lavorano per queste stesse industrie. Un lavoro precario, svolto in condizioni disumane e spesso ai limiti del decoro.
Sono tanti gli argomenti delicati che Igor cerca di affrontare tramite la sua arte: depressione, guerra, povertà, dipendenza, narcisismo e mancanza di empatia. Si tratta di un’arte volutamente fatta, il più delle volte, di estrema sofferenza: l’arte stessa è per Igor sintomo di una speranza da non abbandonare, capace di essere uno strumento crudele per ricordare che la vita può essere terribile ma allo stesso tempo dimostrare che i problemi che avvertiamo come tali molte volte quasi non esistono in confronto con le vere tragedie. Spezzare i nostri momenti di ordinario dolore: questo lo scopo di Igor.
“Non mi piacciono le parole”, spiega Igor. “Credo che l’empatia sia una delle caratteristiche più importanti al giorno d’oggi ma non ancora apprezzate. Non mi inganno col cercare la salvezza del mondo, ma forse il mio lavoro e quello di altri, anche non necessariamente nel mondo dell’arte, contribuiranno a muovere qualcosa”.