Kengo Kuma, l’Architettura alla riscoperta del ‘luogo’
Kengo Kuma, classe 1954, viene generalmente considerato uno dei massimi esponenti dell’architettura contestuale. I suoi progetti hanno affrontato molteplici ambiti, dalla progettazione dei piccoli oggetti ai padiglioni per installazioni temporanee, dagli edifici ai piani urbanistici. "Il meno alla moda degli architetti giapponesi", anti-divo, anti-americano, "identitario ma non nazionalista", critico della globalizzazione, grazie alla sua profonda comprensione della cultura e tradizione giapponese, ha segnato una svolta nel discorso architettonico internazionale.
Sono numerose le interpretazioni del suo lavoro e i modi attraverso i quali le sue architetture sono state catalogate. Ma il carattere di contestualità è denominatore comune di tutte le sue opere, in particolare le più recenti. Tra le sue architetture più famose c' è la Bamboo House in Cina, sotto la Grande Muraglia, la Lotus House in Giappone, ma lavora anche in Francia e in Italia (ultimo il progetto per la Stazione di Val di Susa). Ogni suo atto progettuale si connota per quella caratteristica che già Frank Lloyd Wright apprezzava dell’architettura giapponese: «dove tutto è natura». Kengo Kuma ha rivalutato le capacità artigianali del suo paese e l'utilizzo di materiali naturali a diverse scale e formati. Ogni materiale utilizzato è diverso, senza per questo forzarne la vocazione costruttiva: l’architetto giapponese agisce sulla costruzione senza eccedere in tecnicismi, esprime il valore della tradizione senza mai rischiare di cadere nel vernacolare, si appropria della storia e allo stesso tempo si addentra nella modernità con quella naturalezza che è specchio e sostanza della sua cultura.
Per quanto riguarda la mia architettura non ho l'esigenza di fare l'opera unica, lavoro piuttosto, pensando che possa sparire; anche se non arrivo a cancellare completamente l'architettura, ritengo che un atteggiamento che rispetti la morbidezza, l'uomo, l'ambiente e la natura, abbia comunque esiti differenti. (Kengo Kuma)
Se nell’architettura di Kengo Kuma possiamo riconoscere alcuni ‘temi radice', che costituiscono delle invarianti nelle sue opere: natura/artificio, luce/ombra, semplice/complesso, opaco/trasparente, provvisorio/permanente, massivo/leggero, superficie/profondità, univoco/molteplice, continuo/discontinuo, ripetizione/variazione, alto/basso. Ricorrendo ad una sorta di sistema retorico, Kuma annulla ogni contraddizione: la costruzione si fa narrazione e l'unità è generata dalla ripetizione della parte. Un modo di operare assimilabile proprio alla natura retorica del linguaggio, inteso come luogo della molteplicità interrogativa, luogo delle differenze a confronto. Il suo lavoro costituisce un'interpretazione più ampia dei significati attribuibili al fare, alla tecnica, alla materia e al modo in cui Kuma la utilizza, la piega: il principio generativo attraverso il quale ci fa cogliere la natura arcaica dell'architettura, l'esistenza di strutture di significato stabili. Perché, come testimoniano anche la denominazione delle opere, Plastic House, Adobe Museum, Stone Museum, Great Bamboo Wall, più che indicare un'opera rinviano ad un principio generativo, ad una ricerca figurativa esercitata sulle possibilità espressive della materia, che nel lavoro di Kengo Kuma rende evidente la dialettica tra il già stato e il non ancora.
Le implicazioni tra ideazione, materia, costruzione e figurazione sono ricondotte alla costruzione delle forme, a nuclei di significato permanenti che si evolvono in forma di continuità imperfetta, ad un approccio in cui la materia si fa elemento generatore del comporre. È la materia l'elemento generatore, il principio attraverso cui Kuma ci fa cogliere l'esistenza di strutture di significato inesplorate, inesauribili; ci sollecita ad andare oltre la figurazione, a muoverci nel territorio del potenziale. Paradossalmente, nelle sperimentazioni proposte da Kuma, un materiale tradizionalmente associato all’idea di pesantezza e massività, come le pietre, viene utilizzato e impiegato per ottenere effetti di particolare trasparenza e leggerezza, mentre il vetro è utilizzato talvolta per creare una palpabile e iridescente presenza di riflessi e opacità percepibili in modo stratificato.
Il calcestruzzo ci fa dimenticare i limiti e fraintendere il senso della scala. Pensiamo di poter fare di tutto. Il calcestruzzo ci rende arroganti. Il legno, come progettisti, ci fa umili. C'è una grande differenza. (Kengo Kuma)
Soluzioni sostenibili, tecnologicamente avanzate in armonia con la tradizione spaziale e le abitudini quotidiane degli abitanti locali, sono solo alcune delle caratteristiche dei progetti dell’architetto giapponese. La sua opera è caratterizzata, in molti dei progetti recenti, dall'integrazione di tecniche e di competenze tradizionali giapponesi combinate con un'avanzata sperimentazione sui materiali. Nelle sue ultime opere è chiaro il riferimento ai tradizionali sistemi costruttivi giapponesi in legno, che rimandano ad oggetti dell’uso quotidiano come i giocattoli Chidori, in cui tre barre si intersecano in un unico punto. Prima della Seconda guerra mondiale ogni carpentiere giapponese usava questo tipo di giunto. Lo scopo è che il sistema sia di nuovo aperto a tutti. Per l’architetto giapponese è importante far rinascere la saggezza di un tempo reinterpretandola.
Nel lavoro di Kuma vengono affrontate alcune delle dicotomie che hanno interessato da sempre il dibattito architettonico contemporaneo: architettura e paesaggio, natura e artefatto, organico e inorganico. Kuma riconsidera le distinzioni operate dall'uomo su questi temi e propone un'architettura che riassume questi quesiti e si concentra piuttosto sulle relazioni fra persone e persone, e persone e oggetti. Un ritorno dunque al localismo, alla riflessione sul genius loci, sull’insieme di persone e storie che ne determinano l’identità.
Il binomio natura-architettura è appunto la chiave più adatta per leggere tutta l’opera di Kuma. Tra i numerosi concetti critici che caratterizzano lo stile di questo architetto, (…) tre sono i più significativi. Il primo concetto è riassumibile nell’espressione mono no aware, concetto proprio della cultura giapponese che si può tradurre come “sentimento delle cose” o meglio, empatia tra l’uomo e le cose della natura. Il secondo concetto è quello di Spatial layering, stratificazione spaziale, caratteristica costante dell’architettura tradizionale Giapponese. Il terzo concetto è quello dell’architettura contestuale (…). Per Kuma, il contesto naturale, paesaggistico o urbano è il fattore decisivo dell’immagine architettonica. (Matteo Belfiore, Visiting Researcher Kengo Kuma Lab, University of Tokyo)
Al primato della percezione visiva dell’architettura, Kengo Kuma contrappone programmaticamente la personale poetica dell'esperienza emozionale, perseguita attraverso lo studio dell'interazione tra luce e materia, generatrice di impensabili potenzialità espressive. L’architetto giapponese, dunque, non si limita a comporre armonicamente gli antitetici termini di cui si nutre il fare architettonico ma riesce a raggiungere la coesistenza di contrapposti valori dell'architettura in uno spettro continuo.