Joker e la sua storia: il suo personaggio fu ispirato da Victor Hugo
Dopo il successo alla 76° Mostra del Cinema di Venezia e la vittoria di un Leone d’oro come miglior film, il Joker di Todd Philipps, che molto ha fatto parlare in quest’ultimo periodo, sta per arrivare nei cinema italiani. La pellicola uscirà giovedì 3 ottobre, e riporta di nuovo sul grande schermo un personaggio che ha sempre esercitato un fascino incredibile per via della sua storia misteriosa. Una storia che, stando ad alcuni, comincia molto prima dell’incontro con l’uomo pipistrello, e in un luogo molto diverso da Gotham: precisamente nell'Inghilterra del Settecento raccontata da Victor Hugo nel romanzo “L’uomo che ride”.
Gwynplaine, il personaggio che ha ispirato Joker
“Questo riso che ho sulla faccia, ce l’ha messo un re. Questo riso esprime la desolazione universale. Questo significa odio, silenzio forzato, rabbia, disperazione. Questo riso è il frutto delle torture. Questo riso è un riso coatto”. È con queste parole che il personaggio, molto simile a Joker, compare per la prima volta nell'immaginario collettivo attraverso le pagine di un romanzo: il libro viene pubblicato nel 1869, mentre Hugo si trova in esilio su una piccola isola nel canale della Manica.
Si tratta di una storia oscura, attraverso cui Hugo elabora una dura critica alla società dell’epoca, il cui protagonista è un ragazzo di 25 anni di nome Gwynplaine, orrendamente sfigurato in volto: una terribile cicatrice gli attraversa il volto all’altezza delle labbra, donandogli un macabro sorriso che non lo abbandona mai. Questa deformità lo costringe ad una vita ai margini come clown di un circo ambulante: la sua risata perenne è amara e più che allegria, provoca paura e inquietudine in chiunque lo incontri.
L’uomo che ride: la critica sociale di Victor Hugo
Ma come si è procurato quella ferita? Victor Hugo lo rivela solo a metà del libro: il bizzarro Gwynplaine è in realtà figlio di un potente lord inglese, Clancharlie, che a seguito della presa di potere di Giacomo II era rimasto fedele alla repubblica di Cromwell, guadagnandosi così una condanna a morte per tradimento. Poco prima dell’esecuzione, al lord viene rivelata la sorte toccata a suo figlio, scomparso da ben quindici anni: rapito e venduto ad una banda di criminali il piccolo Fermain era stato orrendamente sfigurato con l’intento di essere venduto ad un circo itinerante.
Ma Fermain, o meglio Gwynplaine, viene abbandonato dai suoi rapitori ed è così che lo incontriamo la prima volta, all'inizio del romanzo, mentre vaga solo e affamato nella campagna inglese. Durante il suo triste vagabondaggio il ragazzino salva da morte certa una neonata, e la porta con sé fino ad imbattersi nella carovana itinerante di Ursus: qui i due bambini trascorreranno la loro giovinezza da reietti, l’uno ormai venticinquenne sfigurato e l’altra, sedici anni, cieca. Ma il destino di Gwynplaine non è ancora compiuto: scoperta la sua vera identità egli riacquista il titolo nobiliare, ed è costretto a confrontarsi con il senso di inadeguatezza e la perenne sensazione di essere un mostro, fra tutti quei lord che non sanno guardare oltre la propria personale ricchezza. La fine di Gwynplaine sarà tragica, ma Hugo gli regala la possibilità di parlare un’ultima volta, scrivendo una delle pagine più intense e commoventi della sua produzione letteraria:
Voi avete il potere, l’opulenza, la gioia, il Sole immobile al vostro zenit, l’autorità illimitata, il godimento esclusivo, l’immenso oblio degli altri. E sia. Ma sotto di voi c’è qualcosa. E anche sopra, forse. Milord, vengo a portarvi una notizia. Il genere umano esiste. (…) Ah! Voi mi prendete per un’eccezione! Io sono un simbolo. O stupidi onnipotenti, aprite gli occhi. Io incarno tutto. Io rappresento l’umanità così come l’hanno fatta i suoi padroni. L’uomo è mutilato. Quello che hanno fatto a me, l’hanno fatto al genere umano. Gli hanno deformato il diritto, la giustizia, la verità, la ragione, l’intelligenza, come a me gli occhi, le narici e le orecchie; come a me, gli hanno messo nel cuore una cloaca di collera e di dolore, e sulla faccia una maschera di allegria. (…) Tutto ciò che vedete sono io. Le vostre feste sono il mio riso. I vostri pubblici divertimenti sono il mio riso. Le vostre nascite principesche sono il mio riso. Il tuono che avete sopra la testa è il mio riso.