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Jan Fabre al MAXXI (INTERVISTA). I cadaveri di 30 anni di ricerche: ecco l’autopsia di uno scandalo

Intervista al regista, artista, coreografo e performer fiammingo che, a cura di Germano Celant, espone 800 tra documenti, opere e elementi delle performance dal 1976 a oggi e ripropone, per Romaeuropa, due suoi classici per il teatro.
A cura di Luca Iavarone
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Jan Fabre (PH by Malou Swinnen)
Jan Fabre (PH by Malou Swinnen)

Scandalizzarsi sembra non essere più una delle possibili reazioni dello spettatore del nostro tempo. Questo dipende, forse, dallo sdoganamento di ogni tabù, dall'esposizione disinibita e ostentata del corpo, "posato", messo in posa ma anche messo da parte, per fini pubblicitari, o anche dall'assuefazione per lo scontro dialettico estremamente violento e per la contiguità di ogni tipo d'informazione, asetticamente "contenuta" in contenitori multifunzione, dove guerra, sport e cronaca multicolore stanno insieme senza soluzione di continuità; azzeccati con la colla, probabilmente "Saratoga" (che, Attenzione!, è un marchio registrato ©). Forse.

O forse non ci scandalizza più perché non c'è pericolo. Tutto è spettacolo, anche l'arte è spettacolo, e lo spettacolo è innocuo. Il mondo non cambierà mica con un film o con una mostra d'arte contemporanea! E poi, non è "evasione", ad esempio, il teatro? Dopo 8 ore di lavoro, 8 se mi è andata bene (e se un lavoro ce l'ho), a teatro mi diverto, divago, divergo. A teatro mi rilasso. Quanto mi piace: io amo il teatro! E però, cos'è lo scandalo? Lo scandalo è di "ostacolo" a questa evasione: un rigurgito morale per una consuetudine infranta, per un'aspettativa disattesa, o addirittura l'anticamera del cambiamento, che, si sa, passa sempre per una crisi. Forse lo scandalo è uno scandaglio; è, in potenza, un barlume di autocoscienza ancora da sviluppare. Dunque non ci si scandalizza più perché non c'è alcuna prospettiva di riconoscersi, di cambiare; alcuna prospettiva di coscienza, alcuna prospettiva di conoscenza di sé e del mondo?

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E così Jan Fabre, l'epigono del teatro e dell'arte scandalosa degli anni '80, viene oggi celebrato, esposto, rievocato in una grande e bellissima mostra a cura di Germano Celant al MAXXI di Roma, nonché riallestito, con due suoi spettacoli degli esordi, "The Power Of Theatrical Madness" e "This Is Theatre Like It Was To Be Expected And Foreseen", al Festival Romaeuropa. Innanzitutto questo, non lo nasconderemo, è un funerale. Se la performance dissacrante, sanguinolenta, scarnificata, sofferente, estenuante, è stata la cifra di Fabre, adesso intavolare tutti i reperti di queste esperienze liminali è l'ammissione del loro nuovo interesse antiquario, della loro mummificazione. A teatro si applaudono, oggi, quelle "8 ore di lavoro" che vanno sotto il titolo di "Questo è teatro come ci si doveva aspettare e prevedere". Oggi. Ma per citare l'artista stesso: "Performance è invendibile… Mette in discussione l’arte. Mette l’artista di fronte ai suoi limiti fisici e mentali, lo porta a porsi domande più essenziali su se stesso e su quello che fa". Paradossalmente ora, di fronte alla riesumazione delle performance, arriviamo a porci una metaquestione: può ancora tutto questo turbarci? E quando un nuovo scandalo (fosse anche solo per gli altri, non per noi) tornerà? Per ora siamo solo di fronte a un para-scandalo, o al suo fratello minore: il fratello di Para-scandalo… Ma certo, al MAXXI l'occasione di fare un viaggio nel tempo e tentare di recuperare quantomeno una memoria storica di quella disposizione è imperdibile.

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Allora ci tuffiamo nel mondo di Jan Fabre, uno dei maggiori artisti, registi, coreografi viventi, in assoluto. Il corpo è il centro delle sue performance e del suo teatro, un corpo che danza, che si appropria violentemente dello spazio: sfiancato, sfruttato, mortificato. Un massacro condiviso anche con il pubblico, il quale è chiamato ad essere partecipe di questa catarsi tramite lunghissimi spettacoli, riti collettivi dove la grande liberazione, prima di tutto fisica, è nel rispecchiamento, nell'emulazione riflessa dei neuroni. I riferimenti archetipici e soprattutto alla classicità sono tantissimi, da Prometeo a Bosch. Fabre non smette mai di ribadire il suo essere fiammingo con il realismo della carne, del suo stesso sangue, ma anche con l'ironia di scene zeppe di personaggi grotteschi.

Voglio sottoporre a torture il mio corpo, far soffrire il mio corpo, far morire il mio corpo, far resuscitare il mio corpo in modo da poter staccare mediante questo processo di morte e rinascita il mio corpo dalla realtà per donarlo all’arte.

Jan Fabre

La mostra "Jan Fabre. Stigmata. Actions & Performances 1976-2013", al MAXXI di Roma fino al 16 febbraio 2014, documenta le performance di Fabre dal '76 ad oggi con i resti di trent'anni di ricerca teatrale ed artistica: oggetti, materiali provenienti dal suo studio, bozzetti, documenti, filmati, foto, che testimoniano le tappe più importanti della sua attività: dai disegni fatti con il suo sangue al viaggio da nord a sud di Anversa con il naso sulle rotaie, dal rogo dei soldi degli spettatori all'invito ai critici d'arte a sparagli, dall'arresto per aver preso in ostaggio il filosofo Lars Aagaard-Mogensen alla passione per l'entomologia, dalla sua messa alla gogna (al Museo d'Arte Contemporanea di Tokyo), quando venne bersagliato da centinaia di pomodori, alla collaborazione con Marina Abramović, fino alle serie di opere di Bic-Art. L'occasione è stata propizia anche per presentare la recentissima pubblicazione della prima parte dei suoi diari ('74-'84) in lingua italiana sotto il titolo "Giornale Notturno" (Cronopio Edizioni). Anche Sky Arte HD (canali 130, 400 ed eccezionalmente 110) parteciperà alle celebrazioni di Jan Fabre con la messa in onda di un documentario sulla mostra in corso.

Abbiamo incontrato Jan Fabre all'Ex Asilo Filangieri, all'anteprima di "Giornale Notturno". Nel video un'intervista all'artista su teatro, arte, mostre, cadaveri e provocazione.

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