Iosonouncane racconta DIE a 10 anni dall’uscita: ecco come è nato uno degli album cult della musica italiana

Iosonouncane, al secondo Jacopo Incani, non è un cantautore che siamo abituati a vedere agli eventi pubblici musicali, anzi. Da anni difende la propria privacy, apparendo solo quando è il momento di presentare i propri album o andare in tour. Il resto della sua vita artistica è soprattutto in studio a scrivere e comporre – in questi mesi sono uscite due colonne sonore, quella di Berlinguer – La grande ambizione diretto da Andrea Segre e quello di Lirica Ucraina di Francesca Mannocchi – ma soprattutto non sono passati inosservati i quattro sold out degli altrettanti concerti che il cantautore terrà al Lokomotiv di Bologna per celebrare i 10 anni di DIE, un album che ha segnato una generazione e considerato una pietra miliare della musica italiana contemporanea.
Iosonouncane su Fanpage.it ha ripercorso quegli anni difficili, delle difficoltà seguite alla pubblicazione de La macarena su Roma, dei debiti, del ritorno in Sardegna dalla madre, ma anche della voglia di non cedere alle mode e cercare di portare la sua idea a quanta più gente possibile, nonostante il rischio di tornare a lavorare al call center. Ecco l'intervista a Iosonouncane che parte dal racconto di alcuni problemi fisici, compresa la rottura di una costola che ha messo a rischio l'idea fino a poche settimane prima dell'annuncio.
Quattro sold out in pochissimi secondi è sintomatico dell'attesa che c'è di vederti di nuovo live.
Per me è una cosa totalmente inaspettata, io su queste cose non ci prendo mai, conta che per me già annunciare due date era un po' una roba da gradassi. Mi ero detto: "Vabbè, sicuramente una data va sold out, probabilmente lo farà anche l'altra ma a ridosso della data o nella sera stessa". Vivendo ritirato, facendo poca vita sociale, non ho percezione reale di quante persone seguano il mio lavoro.
Non ti fermano per strada?
Ma no, è molto raro che qualcuno mi fermi qui a Bologna, capiterà tre volte all'anno, al massimo mi capita di vedere qualcuno che mi guarda, capisco che mi ha riconosciuto ma non capita tutti i giorni.
In effetti sei uno di quelli che il fan preferisce lasciare tranquillo piuttosto che chiedergli un selfie…
Esatto.
Nonostante ciò, sei attorniato da un affetto enorme, come dimostra da anni l'amore per la tua musica e per DIE, un album amatissimo, no?
Sì, sì, questo lo deduco anche dal fatto che non abbiamo mai smesso di venderlo, per esempio, infatti continua a essere necessario ristamparlo periodicamente. Eppure non pensavo che si potesse tradurre, oggi, in questo tipo di desiderio di vedere il concerto, che poi è chitarra e voce.
Era pensato così fin dal principio?
La mia idea era: sì, ok, sono 10 anni dall'uscita di Die, facciamo qualcosa? Ne ho parlato con Gianluca (Giusti, ndr), il mio manager, e gli ho detto: "Guarda, io non voglio fare nulla che sia celebrativo del disco perché 10 anni mi sembravano veramente pochi".
No tour celebrativo, ok, quindi?
Esatto, non volevo e non voglio, in questo momento, fare tour. Ho avuto tantissimo lavoro da fare in studio in questi anni e ancora ce l'ho. Però mi sono detto che non suonavo dall'autunno del 2022, avevo sicuramente bisogno di uscire un attimo, e quindi abbiamo pensato a questo concerto chitarra e voce, perché l'alternativa sarebbe stata suonare integralmente Die, ma con la band al completo. Per fare una cosa del genere, però, bisogna essere almeno in sette più i fiati, il che avrebbe comportato due settimane di prove e prima avrei dovuto riprendere tutti gli arrangiamenti, dare le parti a tutti, e questa cosa mi avrebbe preso un altro mese e mezzo, probabilmente. In più è una cosa che ha dei costi per cui non puoi fare una sola data, devi fare un gruppo di date per ammortizzare i costi di produzione, insomma non era possibile, però avevo comunque voglia di fare qualcosa. Inizialmente volevo farlo in dei posti ancora più piccoli, tipo da 100 persone e fare un tot di date di fila però diventava complicato, quindi ho detto "Andiamo al Lokomotiv" che è un posto in cui ho suonato tantissime volte, in cui mi sento a casa.
Tra l'altro l'avete annunciato pochissimi giorni prima, come mai?
Non l'abbiamo annunciato molto prima un po' per la costola della rotta e un po' perché comunque non volevo fare un annuncio in pompa magna. Io avrei voluto annunciarlo anche solo il giorno prima, cioè fare proprio una roba minima, però avrei scontentato coloro che magari volevano venire da più lontano. Nonostante ciò, tantissime persone sono rimaste senza biglietto e così abbiamo aggiunto due date ma anche in quel caso i biglietti sono finiti in pochissimi secondi.
Perché secondo te quell'album è rimasto così tanto nel cuore delle persone?
Perché credo abbia una capacità di sintesi tale che pur non sacrificando la complessità risulta accessibile. Un brano come Buio in fin dei conti è accessibile, nonostante sia lungo 13 minuti. Anche Stormi è un brano accessibile, certo, ma è comunque un brano stortissimo, non c'è una strofa, non c'è un ritornello, all'epoca fu molto criticato per la voce. Quando uscì DIE ricordo che una delle critiche che mi vennero fatte fu che la voce era bassissima e non si capiva quello che dicevo. Ora, a distanza di 10 anni, basta accendere la radio e ci si rende conto che anche le cose super pop italiane hanno la voce mixata bassa, perché in questo momento il suono che va è proprio quello con la voce mixata bassa. DIE un album molto di sintesi, che ha una componente esotica, una matrice armonico melodica che è familiare perché mette nello stesso orizzonte Battisti, ma anche i Flaming Lips e quindi Lennon, eccetera, non è un disco in cui ci sono dissonanze, per dire, e probabilmente i sei pezzi sono pure belli, penso. E poi c'è tutta una dimensione intrinseca.
Che intendi?
La suggestione che il disco si porta presso fin dai primi giorni dell'uscita, mi verrebbe da dire. Io mi ricordo che prima dell'uscita di Die, arrivavo da un lungo periodo di pausa. Erano tempi in cui c'era ancora qualcuno che chiedeva a Gianluca se volessi fare dei concerti, poi a un certo punto tutti avevano smesso di chiedergli una mia data, nessuno mi cercava più. Molti pensavano che avessi smesso di suonare perché Gianluca, poveraccio, negli anni, alle richieste rispondeva: "No, no, ma sta lavorando a un disco". Ma alla fine non era neanche più credibile. Ricordo che avevo solo il profilo Facebook e non lo aprivo neanche più, solo ogni tanto andavo a vedere cosa succedeva e c'era solo solo spam. Nessuno guardava più il profilo, nulla, coma farmacologico, morto, non succedeva più niente.
Poi?
Quando io e Bruno Germano finimmo il disco c'era da decidere quale brano lanciare per primo. L'idea iniziale era Carne, perché ci sembrava il più accessibile avendo dei ritornelli. Stormi, invece, ci sembrava troppo storta per essere una canzone di successo, ci dicevamo che era stortissima, non si ferma mai da nessuna parte, quindi abbiamo detto no. E io ho proposto Tanca e così decidemmo per Tanca. Già quella cosa lì, secondo me, avviò tutta una serie di cadute a cascata che in pochissimo tempo, insieme alle recensioni, portarono al disco quasi un'aura di oggettiva rilevanza, di positiva bellezza, e a me portarono autorevolezza e credibilità. Questa cosa fu data tantissimo – e ne ero consapevole anche allora – dal fatto che avessi lavorato al disco per quattro anni e che avessi poi ho prodotto un disco con tanti strumenti, tanti suoni, stratificatissimo. Era una cosa che avevo visto già accadere con i Verdena, quando pubblicarono WOW, ricordo che anche coloro che li avevano sempre sminuiti dissero "Ok, fermi tutti" perché un tale livello di ricchezza e complessità negli arrangiamenti, nelle armonie e anche una così grande ambizione, era totalmente inedito nella musica italiana del 2010 e lo è anche oggi, anzi forse oggi è anche peggio, sicuramente peggio. Quindi ero convinto che quella cosa lì sarebbe stata riconosciuta, quello che io non sapevo era come sarebbe stato accolto emotivamente perché rispetto alla Macarena su Roma, anche a me DIE suonava diversissimo e nuovo, è stato quasi sorprendente scrivere determinati pezzi e anche straniante, cioè mi ritrovavo a scrivere Stormi dopo aver scritto La Macarena su Roma. Due idee di canzone opposte quasi, no?
L'impressione è che anche quel periodo musicale fosse stato fertile, eravamo alla fine, ma ancora nel pieno di un periodo fervido per l'indie italiano.
Sì, secondo me nel disco c'è una grande sintesi di cose che erano accadute musicalmente nel mondo indipendente non solo italiano, fino a quel momento. Si sente, per esempio, che ascoltavo tanto gli Animal Collective, i Flaming Lips, lo si sentiva in determinate scelte sui synth, nell'idea di campionare le voci in un determinato modo. Da un certo punto di vista, forse, è un disco "antologico", nel senso che mi sembra che ci sono finite dentro tantissime cose. Oggi sicuramente lo scenario è diverso, poi io quel disco l'ho fatto in una situazione strana.
Ricordo che in passato mi raccontasti di un periodo non facile…
Avevo fatto la Macarena su Roma che era andato bene, anche se in un ambito ristrettissimo, ma avevo fatto una marea di concerti, 250 in 3 anni, tipo. Questa cosa però non aveva generato uno scarto in avanti nella mia vita professionale, nel senso che non campavo affatto di musica, anzi avevo fatto una marea di debiti. DIE l'ho scritto, arrangiato e iniziato a produrlo in un momento estremamente critico della mia vita, tant'è che lasciai Bologna, tornai in Sardegna, a casa, senza una lira letteralmente, non avevo più nulla, avevo rivenduto anche gli strumenti, ero veramente con le pezze al culo, non solo economicamente, ma anche emotivamente e psicologicamente, perché avevo girato tantissimo da solo in treno per fare La Macarena su Roma, il che aveva implicato uno sforzo enorme, sia fisico che emotivo: stavo tantissimo da solo o comunque ogni sera in mezzo a tante persone che non conoscevo e che nella quasi totalità dei casi non ho mai più rivisto, ero veramente esasperato. L'anno che ho trascorso in Sardegna dall'estate 2012 all'estate 2013 è stato un anno cruciale per me.
Cosa è successo?
Mi verrebbe quasi da dire che in quel momento lì si è chiusa la mia giovinezza, lo dico in senso buono. Iniziai a dirmi: "Ok, è vero, sono un musicista" e ne ho avuto testimonianza perché quando cresci in provincia – e io sono cresciuto nella provincia della provincia – non è facile dire: "Sono un musicista e voglio fare un musicista" perché non essendoci alcun tipo di circuito, per potervi accedere è necessario attraversare il Mediterraneo. In quel contesto esistono solo due categorie di musicisti: ci sono quelli che vedi in TV, che sono quelli che ce l'hanno fatta – almeno nella percezione che si aveva in un'era pre-internet -, e ce l'hanno fatta perché a un certo punto c'è stato un colpo di fortuna, un colpo di culo, qualcuno che li ha notati. E poi ci sono quelli che fanno piano bar, il mondo di mezzo non esiste. Nel momento in cui da adolescente dici: "Io farei il musicista", sei un mezzo coglione e arrivato a 20 anni metti la testa a posto come tutti e fai un lavoro normale, questo è. E invece io a 19 anni me ne sono andato in nave – perché allora si partiva ancora in nave – e ho dovuto aspettare parecchi anni per arrivare alla Macarena su Roma, avere finalmente un tour, un'etichetta o anche semplicemente essere intervistato o andare a Radio 2. Nel momento in cui tutto questo è successo ed è successo anche perché ho fatto tanti concerti da solo è come se mi fossi caricato in spalla questo mio stesso desiderio e avessi detto che ho la va o la spacca.
Ed è andata, ma s'è pure spaccata, no?
Sì, nel senso che a quel punto ho potuto dire che ero un musicista, non ero più un adolescente esaltato di provincia e un po' ingenuo. In quel momento, però, avevo anche finito le batterie e i soldi così mi sono detto: "Ok, ora però torno a casa perché devo capire il motivo profondo per il quale mi ritrovo a girare per 3 anni da solo in treno". E lì ho capito che iniziava la fase successiva, cioè capire come volevo che fosse il mio essere musicista in quanto uomo che diventa adulto.
Cosa ti ha dato la forza di non mollare, nonostante tutto, nonostante fossi senza forze e senza soldi?
All'inizio ho detto "Non farò mai più concerti" perché era stato veramente debilitante quel periodo. Ai pezzi di DIE lavoravo in una stanzetta a casa di mia madre, ma avevo già un debito di 5 mila euro. Poi mi sono reso conto che da solo non riuscivo a completarlo, il disco, perché all'epoca mi mancavano gli strumenti tecnici e le conoscenze, banalmente, per far suonare il basso nel modo in cui immaginavo dovesse suonare; non riuscivo, per esempio, a dominare un brano come Buio, lunghissimo, con 100 tracce. Quindi a un certo punto mi ero impantanato e lì, per fortuna, Gianluca mi ha convinto a fare un tour in trio con Simone Cavina e Paolo Iocca, nell'autunno 2013, e in quel momento sono tornato in contatto con Bruno Germano, fonico col quale ho lavorato a Die, gli ho fatto sentire le bozze e lui mi ha detto "Lavoriamoci". E ci abbiamo lavorato un anno, ma io ci ho lavorato con la consapevolezza che stavo accumulando dei debiti, che qualora il disco non fosse andato bene avrei sicuramente dovuto riprendere a lavorare e avendo fatto in precedenza quasi solo call center, avrei potuto fare solo call center e capisci che per restituire i 6/7000 euro che avevo accumulato avrei dovuto metter soldi da parte per 10 anni. Insomma, dovevo tenere a me a bada anche quel pensiero lì.
E come l'hai tenuto a bada?
Per fortuna, per come sono fatto caratterialmente, questa cosa non mi ha portato a cercare di dare un colpo al cerchio e uno alla botte e di smussare il disco orientandolo verso quello che potevo supporre fosse il gusto generale, ma mi ha fatto dire: "L'unica strada che ho è andare fino in fondo con l'idea musicale che mi si sta presentando davanti". E per esempio ho deciso di mixare le voci basse e compromettere l'intelligibilità delle parole a un primo ascolto, tanto a quel punto sapevo che dovevo investire unicamente nell'idea musicale che avevo in quel momento e portarla fino alla fine.
E per fortuna il disco è andato bene…
Sì, è andato tutto per il meglio, però è stato è stato rischiosissimo e io questa cosa la sapevo benissimo.
Prima parlavi di come faccia poca vita sociale e anche poca vita social dove posti soprattutto musica di altri, eppure esisti, anche con gli album di colonne sonore: che vita è quella di oggi rispetto a quella di DIE?
Oggi ho una stanza in uno studio di registrazione, che non è totalmente mio, appunto, ma ho a disposizione tutto lo studio, quindi DIE, per esempio, è un Frankenstein di cose che un po' avevo iniziato io in casa e poi avevo risistemato in studio con Bruno, e che poi lui ha sistemato. Le colonne sonore di Berlinguer e Lirica Ucraina, invece, le ho registrate io partendo totalmente da zero, compresi gli strumenti acustici, quindi diciamo che il lavoro in studio è cresciuto tantissimo, mi ha preso totalmente. A breve inizierò a scrivere un nuovo disco, avrei dovuto già iniziare a farlo, ma sono arrivate altre colonne sonore nel frattempo, stanno arrivando tantissime richieste per colonne sonore. Sto anche producendo un disco che sarà presumibilmente la prossima uscita di Tanca Records. E a tutto questo si aggiunge la collaborazione con Daniela Pes che in qualche modo è la mia prima complice, un po' perché ho prodotto e arrangiato Spira e poi perché abbiamo suonato insieme al Club to Club dando, come dire, avvio a un progetto in duo. Diciamo che il mio modo di essere musicista in questo momento mi è veramente congeniale.
Fare tanto lavoro di studio con pochi live, insomma.
Ho capito che la mia indole è veramente come quella dei signori del mio paese di Buggerru, che sono nati e cresciuti lì, qualche volta sono andati a Iglesias, nella cittadina vicina, magari per delle visite mediche, due o tre volte nella loro vita si sono spinti fino a Cagliari, forse una volta hanno preso l'aereo e sono usciti, magari già a una certa età, per una gita, che ne so, e in generale passano le domeniche sul molo a pescare da soli. E io sono esattamente così, non soffrirei minimamente nel vivere in questo modo. Non amo viaggiare, non mi interessa il viaggio da un punto di vista turistico del termine e mi mette molto a disagio tutto ciò che è vita pubblica del mestiere. Difendo la mia vita, per quanto possibile, anche se ovviamente è donquisciottesca come cosa, però fino a quando potrò, difenderò la possibilità di andare a fare la spesa senza che nessuno mi fermi. Ma non perché sia un male fermare qualcuno, ci mancherebbe – insomma, se incontrassi Paul McCartney lo fermerei – solo perché quell'aspetto dell'essere un personaggio pubblico, in qualche modo, è totalmente lontano dal mio modo di essere.
Prima dicevi di voler fare meno concerti possibili, in controtendenza rispetto all'idea dei cantanti che si sostengono soprattutto coi live.
Ho organizzato questa cosa di Die chitarra e voce proprio perché mi faceva piacere farla, dopodiché stop, cioè se ne parla quando esco con l'album oppure con qualche cosa singola con Daniela. Ma sia chiaro, di fare questi concerti a fine mese ho una grandissima voglia. Solo che negli ultimi anni ci sono state tutta una serie di cose, come i tre tour di Ira, che sono stati faticosissimi: quello è stato un disco che ha richiesto per me uno sforzo intellettuale gigantesco, nel senso che la parte di scrittura, quella proprio elettrizzante, quella che ti tiene sveglio e ti rende difficilissimo addormentarti perché ci pensi continuamente, perché è la cosa più bella del mondo, ecco, quella fase di scrittura l'ho finita nel 2018. Tutto l'anno successivo, il 2019, si è trattato per me di lavorare di fino agli arrangiamenti, riregistrare tutti i synth, richiamare i percussionisti a registrare le percussioni perché non ero pienamente soddisfatto del suono. Quindi per fare le voci, scrivere i testi in quel modo là, c'è voluto molto tempo, ci ho messo sei mesi a scrivere i testi, insegnarli a tutti, spiegare loro le ragioni, gli intrecci e gli equilibri, arrivare a una pronuncia condivisa di quelle parole, registrare tutte le voci che ci sono nel disco, pensa che solo per farle abbiamo iniziato il primo settembre e finito a metà dicembre. Insomma, tutto il 2019 è stato molto impegnativo per me, quando hai in testa il disco per te è finito, ma in verità il lavoro artigianale che ti rimane da fare è gigantesco e devi portarlo avanti per un anno intero dicendoti: "Dai, dai che ci siamo, dai che ci siamo", poi arriva il arriva il Covid e manda gambe all'aria la mia idea di suonarlo integralmente prima dell'uscita. E nell'incertezza totale devo ridimensionare il tutto e dire "ok, giriamo nell'estate 2021, ma in tre perché non sappiamo se dovremmo fare palchi microscopici o palchi grandi"; l'esecuzione integrale di Ira con la band al completo e con tutta la strumentazione che utilizzavamo, infatti, implicava una macchina produttiva mostruosa: ci dovevamo spostare in 15 – 16 con due furgoni e ci serviva un mixer con 64 canali pieni, cioè una roba gigante che nell'estate del 2021 non era possibile mettere su.
Quindi nasce l'idea del set in trio.
Sì, quando abbiamo deciso di fare un tour nel febbraio 2021 non abbiamo potuto fare altro che organizzare un set in trio che ci permettesse di restituire il maggior numero di sfumature musicali possibili, ma che fosse anche molto agile e possibile da suonare sia su un palco 2×3 che in posti più grandi. Quindi è passato un altro anno, poi c'è stato il tour teatrale nel 2021 con le esecuzioni integrali di Ira, la cosa più bella che ho fatto, a cui s'è aggiunto qualche concerto estivo e poi il tour europeo dell'autunno del 2022.
Hai già idea più o meno di come sarà il prossimo album?
Sì, so cosa devo dire, ovviamente nei limiti del fatto che quando inizi a scrivere le cose ti si trasformano in mano e diventano migliori, si arricchiscono, però ho già una suggestione molto forte e anche un approdo chiaro. Devo solo mettermici, ecco, in questo momento ho una quantità di materiale da parte, più o meno elaborato, gigantesca.
Una volta mi parlasti della cartella "bozze e brani da scrivere" che era di 92Gb…
Ah, vero, ma secondo me adesso è il triplo, perché nel frattempo ho fatto una marea di cose. Ho tantissimo materiale e ovviamente quando inizio a scrivere una colonna sonora ripercorro il materiale che è rimasto fuori perché alla fine comunque si tratta sempre del mio modo di scrivere, quindi a volte davvero capita che un'idea musicale viene fuori per una colonna sonora, ma non ci finisce dentro e risulta essere perfetta nella successiva che farai. Questa cosa è capitata a tutti i compositori. Però credo che per il prossimo disco partirò da zero, cioè dal foglio bianco e credo che inizierò a scriverlo probabilmente da aprile.