Impressionisti all’Ara Pacis: da Monet a Renoir, da Van Gogh a Bonnard
Da Parigi a Washington a Roma, eccezionalmente. Il museo capitolino dell’Ara Pacis è l’unica tappa europea di un tour che vede i dipinti degli impressionisti francesi muoversi dalla loro sede della National Gallery of Art di Washington per essere esposti in diversi musei del mondo, a San Francisco, San Antonio, Tokyo, Seattle.
Brillano le “gemme dell’Impressionismo” fino al 23 febbraio nelle sale del museo romano in un allestimento ben definito che divide la mostra in cinque sezioni, dove ammirare i paesaggi en plein air, i ritratti e gli autoritratti dei pittori, le donne nelle loro diverse attività, le nature morte ed infine lo sviluppo del nuovo stile nella pittura dei Nabis. È Claude Monet ad aprire la mostra con una veduta di Argenteuil che introduce il visitatore nel tema del paesaggio impressionista. Del pittore di Giverny è esposto quest’unico dipinto, ma la sua figura ritorna nella sala dei ritratti immortalata dal pennello dell’amico Auguste Renoir. Tra le marine ventose e affollate di Boudin, le quiete campagne di Pizzarro e le soffici vedute cittadine di Sisley, spiccano nella stessa sala i dipinti di Renoir vibranti e ovattati dove la pennellata rapida e le ombre colorate tipiche degli Impressionisti raggiungono il culmine della loro espressione, mentre si contendono l’attenzione del pubblico con l’acceso cromatismo di un vivace ed insolito campo di tulipani di Van Gogh.
Tra le corse di cavalli di Degas, presente in mostra anche con i celebri dipinti di ballerine, e gli studi per La Grande Jatte di Seurat, interessantissimi i due piccoli quadri di Odilon Redon dove un villaggio bretone immerso in un’atmosfera sospesa ed enigmatica prefigura la svolta simbolista dell’autore. Tra i ritratti – altro genere innovato dagli impressionisti, che scelsero finalmente di dipingere il soggetto nel mezzo delle sue consuetudini sociali – risalta quello di Gauguin, un autoritratto che già rivela uno stile a sé rispetto agli artisti del gruppo; d’altro canto Gauguin, distinguendosi dai pittori impressionisti fautori di una pittura immediata, consigliava: “Non dipingete troppo dal vero. L’arte non è che pura astrazione”.
Ballerine, signore in giardino, donne in interni domestici intente a svolgere le proprie attività quotidiane: prezioso, tra i dipinti dedicati alle figure femminili, il piccolo e intensissimo quadro di Toulouse-Lautrec con il ritratto di Carmen Gaudin – visibile nella nostra gallery di foto, insieme alle immagini di molte altre opere in mostra. La sezione delle nature morte è ricca di lavori e su questo tema, tra Manet e Fantin-Latour, non mancano i celeberrimi dipinti di Paul Cézanne, colui che pronunciò la fatidica frase “Stupirò Parigi con una mela”. Decisamente corposa anche la parte finale della mostra, quella dedicata a Bonnard e Vuillard che con la loro pittura decorativa, dai colori puri e dai tagli inconsueti, ispirata ai modi delle stampe giapponesi, traghettano l’Impressionismo verso lo stile dei Nabis.
Quei pittori indipendenti che dopo la loro prima mostra nel 1874, allestita nello studio del fotografo Felix Nadar, furono tanto criticati, derisi e osteggiati, etichettati negativamente con la definizione di “Impressionisti”, oggi sono tra gli artisti più amati e ricercati di sempre; e una mostra che li vede protagonisti non può che avere grande risonanza, soprattutto in un paese come l’Italia, dove i musei posseggono davvero poco dell’ampia produzione impressionista.
“In molti ambienti l’Impressionismo, fosse anche la sola parola, associata ai più diversi temi, stili ed artisti, è l’unica cultura del ‘moderno’ che un vasto pubblico riesce a capire […] e a sentire, coinvolgendosi anche dal punto di vista emotivo”, sostiene Renato Miracco nel saggio scritto in occasione della mostra. “Non capiamo, non ci sforziamo di capire – perché lo troviamo faticoso? – l’arte contemporanea ma ci ‘ritroviamo’ pienamente nell’Impressionismo perché è l’ultima corrente artistica che continua a rassicurarci, a farci stare bene, a darci quel conforto dell’anima di cui abbiamo bisogno”. Eppure bisogna considerare che proprio gli impressionisti furono assolutamente contemporanei, sovversivi tanto quanto alcuni artisti di oggi: tagliati i ponti con qualsiasi convenzione o atteggiamento preordinato, la loro rivoluzione tecnica e pittorica fu la conseguenza di una rivoluzione concettuale, della scelta cioè di guardare finalmente, liberamente alla vita e alla società moderne, riportando sulla tela le rapide e reali impressioni di ciò che li circondava.
Tra coloro che supportarono sin dagli esordi il lavoro degli impressionisti vi fu Émile Zola, il quale ben presto colse l’anima, il senso e il valore della rivoluzione impressionista: “Sono pittori che amano il loro tempo […]. Le loro opere sono vive perché le hanno prese nella vita e le hanno dipinte con tutto l’amore che provano per i soggetti moderni”.