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Immaginare significa ‘in me agisce il mago’ e altre bufale etimologiche

L’etimologia è una scienza, ma spesso diventa una gara a chi immagina, nella costruzione di una parola, il significato più poetico. Svilendo la vera poesia delle parole.
A cura di Giorgio Moretti
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Il fenomeno umano e linguistico che andiamo a osservare è davvero interessante, e diffuso.

Prendiamo il verbo ‘immaginare’. Questo verbo, da un punto di vista emozionale, è tutt’altro che neutro: sviluppa un ordito di libertà, autenticità, potere creativo, arte, su cui è annodata la trama di una parte importante della nostra cultura – perfino dei nostri valori. Quanto è povera, per noi, la persona senza immaginazione…!

Davanti a questa realtà magnifica alcuni non trattengono l’invenzione della poesia a sproposito: dopotutto si parla di immaginare, e quindi anche l’etimologia di ‘immaginare’ ha da essere immaginata. Strizzando gli occhi e squartando le sillabe qualcuno ha visto nella forma di IMMAGINARE una sintesi di una (supposta) locuzione latina: IN ME MAGO AGERE. Lasciando stare che – eufemismone – non è latino corretto, gli antichi (?) avrebbero quindi visto nell’immaginare l’agire del mago che è in ognuno di noi. Idea suggestiva e fuorviante.

Sui dizionari etimologici vediamo che l’origine del termine ‘immaginare’ è il latino ‘imago’. E che voleva dire ‘imago’ in latino? Era l’immagine, ma anche il fantasma, il sogno, il concetto, l’apparenza, il ricordo, il riflesso, il paragone, l’allegoria, l’allucinazione. Mica male, eh?

Risalire oltre nell’etimologia è difficile: si cammina su terra solida solo quando abbiamo fonti scritte, e a un certo punto ci si trova sulla sponda del mare a cercare di intuire qualcosa della storia precedente con grandi sforzi di logica. Le parole solo dette, si sa, volano. Ma fermiamoci a riflettere: questa poesia non ci basta? Perché costruirne una facilotta e sbagliata invece di sforzarsi di abbracciare quella reale?

L’immagine è il primo cardine della nostra mente – su cui perfino le parole sono imperniate. Se qualcuno mi parla della grande piramide di Cheope, dietro i miei occhi non compare la scritta Grande piramide di Cheope, ma la sua immagine. Perciò quando l’imago fa la sua comparsa nello scritto acquista una sventagliata di significati riconducibili – tutti e in maniera variegata – a esercizi della mente: viene vista o sognata, viene astratta o affiora in superficie, viene richiamata, riconosciuta o usata per confrontare, e creare nessi e analogie.

Questa non è magia, siamo noi, e il modo in cui funzioniamo – testimoniato da un termine vecchio di migliaia di anni.

E non è un caso isolato, anzi.
Per fare un altro celeberrimo esempio, parimenti non c’è bisogno di strappare e ricomporre il termine ‘amore’ affermandolo derivato dal latino ‘mors’ (morte) negato da un’a privativa – tramutandolo, quindi, in un sentimento che (cuore cuore) non muore mai, o che vince la morte. Non c’entra proprio nulla. La storia del termine ‘amore' è ancora piuttosto misteriosa, per quanto secondo molti scaturisca da una radice indoeuropea, che ad esempio emerge anche nel sanscrito kama, col significato di desiderio, passione (presente il kamasutra?). Il non sapere con precisione lascia insoddisfatti? Ma il mistero etimologico contribuisce a salvarci dalla prosa.

Anche l'informazione sulla lingua e sull'etimo delle parole non sfugge alle bufale. E il motivo per cui è necessario presidiare con consapevolezza scientifica – e buone fonti – anche questo tipo di informazione è semplice e di importanza capitale: le parole sono il nostro primo tesoro, e la loro poesia scaturisce da una riflessione intelligente, che sola può riprendere le fila di vene millenarie di pensiero. Non certo dal raffazzonare somiglianze.

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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