Il vocabolario Zingarelli compie 100 anni: non solo parole, è la cultura che cambia
Nel 1917 Nicola Zingarelli inizia la pubblicazione del suo celeberrimo vocabolario. È trascorso un secolo, ma gli eredi del suo lavoro continuano ogni anno a seguire costantemente le evoluzioni, le modificazioni e le “novità” della nostra lingua. Una lingua che oltre ad essere strumento primario di comunicazione, è anche lo specchio dei mutamenti di una società e di una cultura sempre più “veloce”, multiculturale e complessa. Osservare da vicino le parole e il modo in cui cambiano, si evolvono o spariscono dal nostro lessico vuol dire osservare come noi, anno dopo anno, cambiamo: un dato che Nicola Zingarelli aveva intuito molto, molto tempo fa.
Mai non è apparsa tanto evidente la mutabilità delle lingue come nel tempo dallo scoppiar della guerra ai giorni presenti. Non meno rivoluzionari sono stati i progressi dell'aviazione, della radiotelegrafia e dell'automobilismo. Il Vocabolario a distanza di pochi anni mi pareva invecchiato: e bisognava dunque rifarlo in parte, oltre che ricorreggerlo.
Pubblicato dapprima in fascicoli dagli editori Bietti e Reggiani, il Vocabolario della Lingua Italiana Zingarelli passa alla casa editrice Zanichelli nel 1941, e da allora, ogni anno, gli esperti lavorano incessantemente per aggiornare la lunga lista di vocaboli contenuti in esso. Un lavoro importante: non solo un “manuale” per il corretto uso della lingua, bensì uno strumento fondamentale per leggere e comprendere i mutamenti più nascosti della nostra società.
L'italiano, cento anni dopo
In effetti, solo dal 2014 al 2017 sono oltre tremila le parole entrate nel vocabolario più consultato della storia: un'evoluzione rapida quella della nostra lingua, spesso molto più rapida dell'aggiornamento del vocabolario stesso. Molte parole, infatti, vengono oggi usate molto prima di venire riconosciute quali appartenenti a tutti gli effetti al nostro vocabolario: sono già tre anni che il vocabolario ha accolto parole come “hashtag”, “twittare” e “taggare”, sintomo di una società ultra tecnologica ed estremamente “social” e “smart”.
Solo nel 2016 sono state oltre 500 le aggiunte dello Zingarelli: non potevano mancare termini come “jihadista”, sempre più utilizzato nelle cronache internazionali, o “madre surrogata”, spia dei recenti dibattiti sulla famiglia. Ha invece dovuto attendere oltre quarant'anni la “supercazzola”, per essere accettata nel nostro vocabolario: essa è entrata solo nel 2016, con grande sorpresa. La “frase senza senso, pronunciata con serietà per sbalordire e confondere l'interlocutore” inventata da Ugo Tognazzi in “Amici Miei”, è divenuta oggi d'uso comune: dimostrazione che la cultura stessa (in questo caso quella cinematografica) è legata indissolubilmente alla lingua, e viceversa.
Moltissime dunque sono le parole nuove. Ma molte altre, nel frattempo, sono cadute in disuso. Pur rimanendo iscritte fra le pagine dei vocabolari, molti termini legati magari a mestieri non più praticati, ad aspetti della vita non più rilevanti o semplicemente parole troppo complicate sostituite da altre, non si usano più. Un altro sintomo importante dei tempi e della cultura che cambiano: i giovani del duemila molto probabilmente non saprebbero dare una definizione di “sagittabondo” o non chiamerebbero una bella ragazza “sgarzigliona”, così come non saprebbero accorgersi di un “gaglioffo” o di uno “smargiasso” accanto a loro.
Le parole del 2017
La nuovissima edizione del 2017 conta circa mille nuove parole e nuovi significati, come “euroburocrate” e “nanochirurgia”, oltre a molti termini inglesi entrati negli ultimi temi nell'uso comune. È il caso di “dashboard”, “meetup” (“un sito web che mette in contatto persone che hanno interessi in comune”) e “Jamboree”, il tradizionale raduno scout divenuto sinonimo di un incontro fra fan di qualcosa o qualcuno. Anche quest'anno, i termini legati ai social network, alla comunicazione web e ai giovani abbondano: immancabile, il termine “emoji”, che si riferisce alle piccole icone utilizzate nella messaggistica digitale, ma anche parole inaspettate come “cam girl”e “cosplay”.
Lo Zingarelli 2017 definisce così i personaggi che molti di noi, almeno una volta, hanno incontrato, dal vivo o sul web: “il passatempo consistente nel travestirsi, da personaggi dei videogiochi, fumetti, film o letteratura fantasy per ritrovarsi in raduni e convegni”. Innovazione culturale e nuovi modi di espressione, non solo linguistici ma anche di costume: come i cosplayer e le cam girl (“giovane donna che, tramite una webcam, offre in Internet fotografie e filmati erotici o pornografici a pagamento”), entrate a tutti gli effetti nel nostro vocabolario così come nella vita quotidiana.
La lingua, specchio della nostra cultura
Nel corso dei secoli l'italiano è divenuta strumento eccezionalmente mutevole, dunque è necessario un costante e severissimo lavoro di monitoraggio per comprenderne gli sviluppi e poterli “catalogare”: la lingua va costantemente “osservata”, notano gli studiosi, per carpire il peso culturale che le parole hanno nella nostra vita.
I curatori attuali dello Zingarelli, Mario Cannella e Beata Lazzarini, spiegano bene questo concetto, nella prefazione alla nuova edizione 2017: "Non a caso le due parole scelte come simbolo nelle copertine dell’edizione 2016 e dell’attuale 2017 dello Zingarelli sono state ‘identità' e ‘cambiamento': a significare la costante e tenace volontà di aprirsi al nuovo e di operare tutte le innovazioni che mantengano il vocabolario stesso al passo con i tempi e con le mutate esigenze degli utenti". Voglia di identità e cambiamento incessante: due parole apparentemente opposte, che però ben qualificano i perni attorno ai quali ruota oggi la nostra cultura.