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Il vittimismo sul televoto di Sanremo ha stancato: qualcuno lo dica a Irama e Ultimo

In due interviste separate Irama e Ultimo tornano a parlare dei limiti al televoto di Sanremo come un ostacolo al loro successo, impedito da chi si accorda “per far perdere qualcuno”. È la stessa lingua con cui parla la maggioranza di governo, in lotta costante contro i poteri forti e occulti.
A cura di Andrea Parrella
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Può apparire un’esagerazione, il dibattito sul televoto a Sanremo è forse la traduzione più precisa del concetto di populismo in Italia. Se è vero che la dialettica politica degli ultimi 15 anni ha visto il dualismo tra destra e sinistra reincarnarsi nella contrapposizione tra popolo ed élite, il voto del festival da parte del pubblico continua ad essere il meccanismo che meglio rappresenta ed agita questo tipo di contrasto, a dispetto di chiunque sostenga che Sanremo è distante dal mondo reale.

Le parole di Ultimo e Irama in due interviste diverse, e casualmente uscite nelle stesse ore, danno la misura plastica di come questo argomento, la presunta e insufficiente valorizzazione del suffragio popolare a beneficio dell’approvazione dei pochi intenditori delle giurie (popolo Vs élite appunto), sia diventato cruciale per l’autonarrazione di alcuni artisti che si sono rivelati alfieri del consenso spaccato in due.

Irama dice che potrebbe giocarsi Sanremo se la decisione fosse solo ed esclusivamente affidata al televoto, mentre Ultimo, stuzzicato dall’intervistatore che sa di sollevare un tema potenzialmente effervescente che aspetta solo di essere agitato, dice che “forse le giurie possono anche essere tre, ma gli esperti dovrebbero votare senza conoscere il voto popolare, e quindi senza potersi accordare per far perdere qualcuno”. Per poi aggiungere, sibillino: “Come è accaduto anche a Geolier”. Non dice “come accaduto a me”, ma ricalca questo principio di allineamento tra sé e l’unico artista popolare quanto lui in Italia, se non di più. Come a voler circoscrivere un medesimo campo di battaglia, compattare le truppe a supporto contro il potentato che decide. Lo avevamo detto alla fine di Sanremo che la narrazione si sarebbe proposta in maniera pressoché identica.

Ricordate quanto accaduto nel 2019? A seguito della vittoria di Mahmood a Sanremo frutto del ribaltamento del voto popolare da parte di quello della giuria ai danni dello stesso Ultimo, furono i due vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini, veri fuoriclasse del populismo estemporaneo, in un certo senso situazionista, prontissimi a protestare per l’esito di quel festival chiedendo che maggior peso venisse dato al meccanismo del televoto. È solo un caso ma non è un caso.

È dunque solo una questione di televoto? A guardare in controluce questo scenario sembra che la protesta contro il voto degli esperti, quindi l'élite di cui sopra, sia in realtà espressione di un moto di rivolta contro un qualche potere occulto che decide e vuole impedire al bene di trionfare. Un approccio dialettico basato su una forma di vittimismo che pare molto caro alla destra attuale, al potere sì ma costantemente incline a descriversi come reduce da anni di soprusi e oggi in lotta contro un potere forte e occulto che vorrebbe impedire di fare le cose come si deve. È interessante notare come le argomentazioni sopra riportate da Irama e Ultimo accomunino due artisti che nella stessa intervista si esprimono su temi di attualità come la contrarietà al politicamente corretto e la differenza tra destra e sinistra che non esiste più, posizioni che sembrano essere elementi basilari di un manifesto della destra contemporanea. Significa che Irama e Ultimo sono di destra? Non per forza, e in un certo senso sono affari loro, ma che i due artisti utilizzino un linguaggio e degli argomenti molto prossimi a quell'area politica è evidente e innegabile.

Non si sa chi condurrà il prossimo Sanremo, non si conoscono gli eventuali cambi di regolamento, ma c’è da credere che le evoluzioni recenti della Rai, sempre più incline ad essere uno sfogatoio della narrazione del governo, possa portare a una modifica sostanziale del regolamento di Sanremo e realizzare, finalmente, il grande sogno populista di un Festival interamente deciso dal televoto.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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