Affinché il capitale possa diventare absolutus, cioè pienamente realizzato perché completamente liberato da ogni limite, esso deve affrancarsi anche dalla politica come “arte regia” (Platone) del governo della polis. Tale passaggio, solo oggi compiuto, coincide con la spoliticizzazione integrale dell’economia come forza in grado di limitare e governare i rapporti economici e i flussi della finanza, i contratti di lavoro e il mondo dei diritti.
Il sogno neoliberista non può dirsi realizzato fintantoché a ostacolare l’avvento del laissez-faire planetario e dell’“anarchia commerciale” (Fichte) sopravvivono i “lacci e lacciuoli” dello Stato come ultimo baluardo del primato del politico sull’economico, della scelta democratica sulla volontà oligarchica incontrollata, della communitas sull’èlite neofeudale.
Con le grammatiche di Carl Schmitt, la nostra è l’epoca in cui giungono a compimento i processi convergenti della “spoliticizzazione” (Entpolitisierung) e della “neutralizzazione” (Neutralisierung).
Si neutralizza ogni “centro di riferimento” simbolico che non sia quello dell’economia innalzata a sola sorgente di senso: e, per questa via, si procede in vista dell’integrale spoliticizzazione, disarticolando la residua capacità della forza politica di contenere e governare l’economico sempre più svincolato.
Mediante la spoliticizzazione dell’economia e l’annichilimento dello Stato sovrano democratico, si instaura la sovranità assoluta del capitale finanziario, che abbatte le legislazioni giuslavoristiche, i contratti nazionali, il diritto costituzionale, le acquisizioni sociali a difesa dei subalterni.
La messa in congedo del politico si pone, in pari tempo, come liquidazione della democrazia come capacità collettiva di decidere sul quadro della vita sociale complessiva entro i confini dello Stato sovrano nazionale.