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Il talento di Ele A: “Difficile affidarsi agli altri, siamo una generazione abituata a fare tutto da soli”

Ele A ha pubblicato lo scorso 9 maggio il suo progetto Acqua, dopo aver collaborato negli ultimi anni con producer come Dj Shocca e Mace e con rapper del calibro di Guè. Qui l’intervista alla rapper svizzera.
A cura di Vincenzo Nasto
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Ele A, foto di Samuele Mersi
Ele A, foto di Samuele Mersi

Il talento di Ele A, nome d'arte di Eleonora Antognini, non passa esattamente inosservato. La rapper, classe 2002, proveniente dalla Svizzera, è da anni tra le promesse della nuova scuola rap, titolo meritato anche grazie a progetti come Acqua, uscito lo scorso 9 maggio, ma anche Globo dell'aprile 2023. Nel frattempo, Ele A ha avuto la possibilità di collaborare anche nel disco di Dj Shocca, nella traccia El Classico con Guè, e con i Cor Veleno in Finale Chimico. Ha partecipato anche all'album di Mace, Māyā, nella traccia Mentre il mondo esplode con l'autore siciliano Marco Castello. Qui l'intervista a Ele A.

Come nasce il tuo ultimo lavoro?

Quando ho iniziato a mettere insieme un po' di brani, mi sono resa conto che c'era un elemento in comune che poteva essere quello dell'acqua. È nato tutto molto spontaneamente, abbiamo scelto di fare clausura in casa sul lago d'Iseo. Sarebbe stato strano non pensare all'acqua per il titolo.

Cos'è cambiato rispetto a Globo? Cos'hai imparato da quel progetto?

Un modo diverso di lavorare, di scrivere. Avevo bisogno di semplificare, che non vuol dire banalizzare, ma riuscire a concentrare tutto in un messaggio immediato. Ho un background molto tecnico, anche perché quando ho cominciato a scrivere cercavo sempre quel lato, incastri anche tripli per sottolineare la rima, ma era tutto troppo criptico in un certo senso. È stato difficile smontare qualcosa che per me era abitudinario, è stato come ricominciare dalle origini.

Ritornando alle origini, quali sono i tuoi primi ricordi con la musica?

I miei genitori sono musicisti, mio padre insegna Storia della musica, mentre mia madre fa lezioni di pianoforte: ho sempre avuto musica in casa sin da piccola. Proprio il pianoforte è uno degli strumenti che mi ha sempre affascinato, ma proprio perché i miei genitori lo suonavano, inizialmente lo sentivo come se fosse una cosa lontana.

Mentre in Neve, la parte di pianoforte l'hai suonata tu. 

Sì, infatti mi pento di non averlo studiato sin da bambina perché credo sia lo strumento più bello e versatile. È un peccato.

Hai studiato altri strumenti? 

Ho studiato violoncello per una decina d'anni e non è che mi piacesse particolarmente. Credo sia per il repertorio, anche perché il violoncello è uno strumento bellissimo, forse quello che si avvicina di più alla voce umana.

E quando è arrivato il rap? 

Molto più tardi, il primo brano che mi viene in mente è Tranne Te di Fabri Fibra a 11 anni, da lì non l'ho lasciato più.

Credo, anche di più in Globo che in Acqua, ci siano elementi forti di jazz. È un genere che ti ha influenzato negli anni?

Assolutamente, credo sia la mia ispirazione principale nella ricerca delle melodie e delle armonie in un pezzo. Mio padre ha studiato anche jazz, quindi da piccola ne sentivo molto in casa: anche se meno, comunque, della musica classica. Ammetto che da piccola era difficile riuscire a captare determinate cose, è un genere con figure complesse, soprattutto ciò che ascoltava mio padre che era lontano dagli autori più commerciali. Da questo punto di vista, trovo un filo conduttore tra il jazz e tutta la musica che mi piace ed ascolto. Dall'altra parte, penso ai primi anni 90, quando ci sono stati esperimenti jazz da parte di rapper come Notorious B.I.G: si faceva ispirare da assoli jazz per il suo flow e la metrica. È una cosa che mi affascina.

Una scelta di stile, che è stato uno degli elementi principali che ti hanno permesso inizialmente di esser riconosciuta. Credi che all'inizio, questa direzione ti avesse allontanato dal racconto personale?

Credo sia il contrario: nella scrittura tecnica è più facile nascondercisi dentro. Credo che sia dovuto più a un fattore culturale del mio paese. In Svizzera, almeno rispetto all'Italia, siamo molto più chiusi, freddi, e parlare di noi stessi non è proprio una cosa diffusa: è un male ovviamente. Credo sia stato naturale non farlo inizialmente, poi proprio con Acqua ho sentito la necessità di raccontarmi di più. Forse sono state le influenze italiane, ma credo mi abbia dato molto ed è stato bello.

Uno dei temi principali che ritorna in Acqua è la fiducia, la difficoltà ad affidarsi agli altri. Quanto questo ha influenzato anche la costruzione del disco?

Per me fidarsi non è una cosa facile, soprattutto quando hai una visione precisa. Siamo la generazione che è sempre stata abituata a farsi tutto da soli, basta saper giocare con gli strumenti e riesci anche a farti la copertina da sola. Poi, giustamente, quando le cose incominciano a diventare un pochettino più grandi, è giusto affidarsi ad altre persone. Ammetto di fare molta fatica a fidarmi, ma questa volta l'ho fatto veramente, e si vede dal producer al videmaker.

Hai detto che l'Italia ha influenzato il tuo processo artistico, ma come ti ha cambiato a livello personale negli ultimi anni?

Credo che in generale, noi del Ticino abbiamo tanto da imparare dal modo di fare in Italia, anche perché viviamo in una bolla. Dall'altra parte, per me, anche Milano è un po' esagerata, perché è tutto troppo stimolante. C'è un modo di interagire diversamente, tieni presente che non avevo mai beccato gente di Roma e Napoli, anche perché a parte i miei amici qui, non capita che passino tante persone nel Ticino.

Cosa ha significato partecipare al disco di Shocca e di Mace?

Sono stati due ambiti differenti. Con Shocca ho fatto una session, ma dopo che il pezzo con Guè era uscito. Quando mi ha chiamato pensavo quasi che fosse uno scherzo, poi la traccia l'ho dovuta registrare a Parigi perché in quel periodo era in Francia. Quindi con lui è stata inizialmente una cosa online. Mentre per Mace è stato completamente diverso: infatti sono andato nella sua clausura in Toscana e ho capito quanto curasse i dettagli. Ma soprattutto, quanto avere il focus puntato sull'obiettivo faccia la differenza nel processo creativo.

In che senso?

Lui cerca di tirare fuori il meglio da ogni persona, non si accontenta della sufficienza e non tutti hanno questa dote. Quando fai quel tipo di progetto, magari ti potrebbe interessare avere il nome, anche perché è già uno sbatti per tutte le cose che devi aspettare e invece uno come lui mi ha fatto riscrivere più volte la strofa per trovare le linee melodiche che si adattavano meglio al brano. L'ho apprezzato tantissimo, anche perché è riuscito a tirare fuori il meglio di me.

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