"Erdoğan potrebbe cadere in qualsiasi momento" dice Valérie Manteau "La situazione è tutt’altro che inamovibile". L'autrice de "Il Solco" si è immersa nella Istanbul profonda e irriducibile, dopo aver lasciato la redazione di Charlie Hebdo a Parigi, e ne riemersa con un romanzo in grado di riscuotere l'interesse non solo in Francia, dove è stato insignito del prestigioso Premio Renaudot, ma nel resto d'Europa. Motivo per cui, in questi giorni, è in Italia con un tour di presentazioni che culmineranno nell'incontro di oggi mercoledì 23 ottobre, in un dialogo con Lea Nocera, docente di lingua e letteratura turca all’Università L’Orientale di Napoli, presso la Libreria Laterzagorà alle ore 18.
"Il Solco" è un romanzo ambientato in Turchia in anni turbolenti segnati dalla repressione, da un tentato golpe, da attentati e rigurgiti nazionalisti. L’ondata di proteste di piazza Taksim sembra ormai spenta. Eppure la città non è domata. Sulla riva asiatica, a Kadiköy, negli squat d’artisti, nelle sedi dei piccoli giornali occupati, il fermento della nuova Turchia rifiuta di estinguersi. È questo l’ambiente in cui si muove Valérie Manteau, giornalista e scrittrice francese, reduce di Charlie Hebdo, trapiantata sul Bosforo per inseguire un amore difficile. Qui si imbatte nella figura di Hrant Dink, martire della libera informazione e della causa armena, fondatore della testata Agos (appunto, "Il Solco" edito in Italia a L'orma). Nei giorni dell'intervento militare turco nel nord della Siria contro i curdi, questo romanzo ci proietta in una Istanbul che non abbassa lo sguardo.
"Il solco" è una storia che parte sulle ceneri della protesta di Gezi Park e sugli attentati a Parigi. Sono le due pietre con cui far scattare una scintilla. Ci racconti come sei arrivata a Istanbul e cosa hai trovato?
Sono stata a Istanbul per la prima volta nel 2012, in vacanza. Era poco prima delle proteste di Gezi Park. Mi sono subito innamorata della città e delle persone che ho incontrato per caso (ma il caso non esiste!). Era la generazione che di lì a poco si sarebbe mobilitata a Gezi: ne avevano abbastanza del governo, volevano un cambiamento, si sentivano pronti per un cambiamento. Non era certo la Turchia che mi aspettavo. Conoscevo molto poco il paese e avevo parecchi pregiudizi che mi venivano da quello che ne avevo sentito sui media europei. Ebbene, quello che ho scoperto a Istanbul mi ha stregata. Sono voluta tornare, per partecipare alla storia della città. E così, poco a poco, ho trovato il mio percorso, il mio «solco».
Storia intima e storia del Paese si intrecciano nel tuo libro. Come sei riuscita a mantenere quest'equilibrio e dargli forma nel romanzo?
Non si può scrivere un romanzo nella Turchia di oggi senza toccare il discorso politico e il contesto storico. Sarebbe stato come bendarsi gli occhi, come rifugiarsi nelle cose futili per sfuggire alla realtà. Avrei potuto fare il contrario, parlare solo di politica. Ma mi sembrava un peccato rinunciare a trattare un aspetto del problema che sfugge alla saggistica, un aspetto che solo un romanzo poteva affrontare: cosa succede agli individui, alla persone, alle loro relazioni, come cambia la loro psicologia in un contesto del genere? Di questo volevo parlare, in questo avrei potuto apportare un contributo diverso da quello dei libri dei politologi, dei giornalisti. Volevo restituire un punto di vista molto preciso: quello delle donne, del corpo, dei deboli.
La sensazione, quando si parla di Turchia sui media europei, è quella di un paese monolitico. Eppure nel tuo libro racconti una Istanbul resistente, impossibile da ridurre al silenzio. Qual è la verità?
La Turchia non è un paese monolitico, al contrario! C’è una divisione estremamente netta tra due poli, due blocchi praticamente equivalenti sul piano numerico, che hanno smesso di comunicare e si disprezzano a vicenda. Nel mezzo esiste ancora uno spazio per nuove esperienze. È emerso ad esempio un partito dalla forte vocazione intersezionale, l’HDP, che alle elezioni del 2015 ha superato il 10% dei voti. Oggi i dirigenti dell’HDP sono in carcere, ma continuano a rappresentare un’ipotesi possibile per il futuro. Perché la situazione è tutt’altro che inamovibile: se i rapporti di forza sono così tesi, è proprio perché Erdogan potrebbe cadere in qualsiasi momento. E quando succederà, bisognerà essere pronti: l’ago della bilancia potrebbe pendere da una parte come dall’altra, verso l’estrema destra fascista o verso i democratici.
Cosa pensi di ciò che sta accadendo nel Rojava e cosa ritieni accadrà in futuro?
Mi guarderei bene dal fare profezie, il futuro è fin troppo imperscrutabile. Faccio come tutti gli altri: leggo le notizie e piango. Ma di una cosa sono certa, l’atteggiamento verso i Curdi dell’Occidente e dell’Europa in particolare lascerà una macchia morale indelebile sui nostri tempi.