Il secolo di Roland Barthes: il grande critico compie cent’anni
Ricorre oggi l’anniversario della nascita di Roland Barthes, una delle menti più brillanti del secolo scorso. Parlare della sua opera non è solo una cosa molto difficile per via della sua vastità e poliedricità: parlare di Roland Barthes comporta una serie infinita di trappole, di rischi; trappole che consistono essenzialmente nel ridurre Barthes a un solo lato della sua personalità cirica, nel ridurlo ad una delle tante sfumature che componevano la mente di una delle intelligenze più sfuggenti e al contempo geniali che abbia prodotto il nostro recente passato. la produzione di Barthes è stata vasta, intensa e variegata; ciò nonostante è forse possibile tentare di trovare alcuni aspetti che lo rendono fra i primi e più importanti intellettuali del Novecento.
Un jour peut être, le siècle sera barthesien, potremmo dire, parafrasando la frase che Foucault dedicò a Deleuze; ovvero: Il secolo scorso sarà ricordato come il secolo di Roland Barthes, forse, essenzialmente perché nella sua produzione, che passa dallo studio della società di massa alla semiologia alla fotografia, alla teoria letteraria, ha incarnato tutte le passioni estetiche del Novecento.
Le ha incarnate, potremmo usare questa parola chiave: sì, perché Roland Barthes prima di essere stato un raffinato analista e critico letterario è stato prima di tutto un folgorante interprete della cultura che ha vissuto, della civiltà che ha interpretato.
A quale civiltà ci riferiamo? Probabilmente un buon modo di definirla è “la civiltà dell’immagine”. La civiltà in cui l’essere umano è catturato nel godimento dell’immagine, ne è coinvolto e tenta costantemente di interpretare la lussureggiante e violenta tempesta di strutture significanti che ne deriva.
E questo fu Barthes in modo particolare: sagace analista sospeso fra sottile spirito critico, arricchito da una profonda formazione da classicista, così come da ludico e seducente edonismo. La sua inesausta ricerca, incapace di sostare su un solo orizzonte, è forse attraversata essenzialmente da questa profonda ed intensa relazione con l’immagine, con la realtà dell’immagine il cui senso si trova “alle spalle del linguaggio” come scrive in un famoso saggio sullo statuto dell’arte fotografica.
Sospeso fra la violenza degli impulsi estetici e la capacità dell’intelligenza nel decodificarli, l’homme structural di Roland Barthes ricerca sempre il senso dietro le cose, penetra a fondo nell’oggetto che ispira il suo godimento, cercandone la forza in grado di scuotere il suo intelletto andando oltre ogni interpretazione simbolica, come dice Barthes stesso nel citatissimo “Piacere del testo”.
Ecco perché Barthes, per quanto complesso, è senza dubbio l’autore che maggiormente consiglieremmo a chi voglia avvicinarsi a testi critici e filosofici del Novecento: perché Barthes è seducente.
Barthes è uno scrittore sinuoso e seducente, che espone con estrema chiarezza la bellezza estetica dell’oggetto di cui parla, conturba il lettore attraverso l’interpretazione, ne sconvolge le paratie concettuali e i pregiudizi intellettuali, fa vedere un oggetto qualsiasi in modo diverso: come un oggetto semiotico, aggancia l’anima dell’oggetto di interesse letterario al desiderio, al ricordo, al vissuto, alla complessità e alla violenza estetica.
Classicista di formazione, Barthes potrebbe essere forse definito come il più grande mitografo del Novecento, in grado di mappare in modo convincente li campo culturale dei segni più importanti dell’occidente: non solo quelli di monumenti culturali come i vari Racine, Fourier o Balzac di cui scrisse, ma anche della società di massa, come il sistema della moda, lo studio della retorica applicata al sistema pubblicitario…
Insomma per questo centenario barthesiano vogliamo ricordare il grande critico novecentesco anche nella sua chiave "ludica", che è forse una buona chiave per poterlo restituire al grande pubblico, alla cui fruizione, forse , la sua opera dovrebbe essere votata, almeno in un mondo ideale: Barthes è l’autore migliore per permettervi di innamorarvi del testo, per aiutarvi, quasi maieuticamente, a ricavare profonde verità su voi stessi dal piacere stesso che provate nel leggere un libro o nell’essere catturati da un’immagine.
Sminuzzando il testo in varie “lessie” in grado di aprirlo all’interpretazione (così infatti Barthes chiamava le parti in cui veniva diviso un testo nelle sue pionieristiche letture semiologiche) le opere di Barthes lo trasformano in un vero e proprio iper-testo, il cui apice è proprio quell’iper-testo che sono i “frammenti di un discorso amoroso” che sono un po’ un apice della sua “arte” critica e intellettiva.
Il critico come artista e l’artista come critico, dunque, il flaneur del piacere del testo: d’accordo. Ma i tanti amori di Barthes per la sfida intellettuale e per il godimento del testo non devono farci dimenticare il suo rigore teorico, rigore che prescindeva da facili definizioni ma che fondamentalmente trovava la sua ragion d’essere nella ricerca del senso, a cui votò la sua stessa esistenza: non è un caso, infatti, che molti suoi interpreti hanno sottolineato quanto in Barthes la critica coincida e si sovrapponga in modo profondo con il gesto letterario. Non stupisce, perché la ricerca estetica di Barthes forse ha trovato coerenza essenzialmente in questo, nel rapporto fra esistenza , ped esperienza estetica, estasi, potremmo dire forse, come un'esperienza comune a tutti gli uomini che, come la definì Barthes nel suo famoso saggio il " piacere del testo"si trova "dietro" il linguaggio, e al di là, potremmo dire, della sua Struttura.