Il ritorno di Daniel Buren a Roma: 5 opere per conoscere questo artista visionario
L'artista francese Daniel Buren è tornato in Italia, e la sua ultima opera sventola già da qualche giorno sugli antichi palazzi della Roma imperiale. "La scacchiera arcobaleno ondeggiante", progettata per svettare sulla terrazza meridionale del Palatino, anticipa un'iniziativa che prenderà il via venerdì 24 giugno negli spazi dello Stadio di Domiziano e della Domus Augustana: "Par tibi, Roma, Nihil", una mostra d'arte in cui alcuni dei più importanti artisti contemporanei dialogheranno con il patrimonio archeologico di Roma. Sono tre gli artisti chiamati a progettare grandi installazioni site specific, pensate appositamente per integrarsi con le architetture antiche e i luoghi più suggestivi del Foro Imperiale: il franco algerino Kader Attia, Sislej Xhafa e lui, Daniel Buren.
Nel corso degli anni Buren si è progressivamente staccato dalla pittura tradizionale, per abbracciare installazioni e grandi opere architettoniche per gli spazi pubblici. Opere, le sue, pensate per dialogare con il tempo e soprattutto con lo spazio: per questa particolarità, molte di esse sono state distrutte dopo la loro presentazione. Ma alcune delle opere più importanti restano ancora oggi nell'immaginario collettivo come i simboli di un'arte in continuo dialogo con la realtà circostante: ecco cinque dei lavori più interessanti di Daniel Buren, mentre sulle terrazze del Palatino già svetta la sua ultima creazione.
1. Les deux plateaux
Nel 1986 Daniel Buren entra con la sua arte in uno degli edifici più importanti di tutta Parigi, il Palais-Royal, con 260 colonne ottagonali identiche, tranne che per l'altezza, poste nel cortile del palazzo, che doveva essere destinato ad un parcheggio. Le colonne partono dal sottosuolo, sotto le griglie di scolo, dunque hanno due volti: uno superiore visibile nel porticato del palazzo, l’altro sotterraneo che finisce in un percorso acquatico che riflette il livello superiore, producendo degli effetti quasi ipnotici. Le strisce verticali bianche e nere creano una simmetria perfetta che contrasta fortemente con le colonne classiche del Palais Royal: dietro quest'opera infatti, all'epoca, nacquero numerosi dibattiti sull'integrazione fra arte antica e moderna. Dibattiti brillantemente superati dall'estro artistico di Buren.
2. Dominant-Dominé
Negli anni Novanta le sue installazioni si fanno più complesse nella strutturazione degli spazi e per l'importanza della luce: accanto alle strisce, Buren inizia ad impiegare pannelli colorati e superfici specchianti che producono effetti trompe-l'oeil e caleidoscopici, come il bellissimo impianto di specchi pensato per il Centre d'art contemporain di Bordeaux, nel 1991.
3. Axer/Désaxer
A Napoli Buren torna, nello stesso anno, più di una volta. Dopo "Comme un jeu d’enfant. Lavoro in situ", del 2014-2015, l'artista francese realizza un'altra monumentale opera site specific per il museo Madre di Napoli, per celebrare i suoi dieci anni di attività: si tratta di un grande intervento che ha trasformato l’ingresso del museo rimettendo in asse l’entrata con la strada, per creare una sorta di continuità ideale tra dentro e fuori. Nell'ingresso dell'edificio, attraverso un gioco di specchi, superfici colorate e righe, Buren rielabora lo spazio confondendo interno ed esterno.
4. Excentrique(s)
Nel 2012, per "Monumenta", Buren realizza una famosa installazione nel Grand Palais di Parigi: trasforma una delle navate in una enorme foresta formata da 377 dischi di plastica colorata sospesi su pali d'acciaio. Sembra di tornare indietro nel passato, all'arte rinascimentale, con raggi di luce, specchi, riflessi e ombre che cambiano di continuo: per sua stessa ammissione, quest'opera intende creare un ponte fra contemporaneità e storia dell’arte del Quattrocento, ispirandosi principalmente al pittore italiano Paolo Uccello. "Uno dei pittori più straordinari della storia occidentale, perché con tre tele di battaglia seppe creare prospettive vertiginose, che attraggono lo spettatore dentro il quadro".
5. Arc Rouge
"Per me il colore è pensiero puro", dice Daniel Buren, e con questa opera lo dimostra: dagli anni Ottanta, dopo aver abbandonato la pittura a favore di installazioni architettoniche, Buren ha iniziato a ricreare con fantasia aree urbane senza identità, anonime, quegli spazi metropolitani che l’antropologo Marc Augé definirebbe "non luoghi". È così che il ponte grigio di cemento che attraversa il fiume di fronte al Museo Guggenheim di Bilbao, un grigio e trafficato punto di passaggio, è stato trasformato con un magnetico arco rosso, facendone una specie di simbolo e di icona che oggi identifica la zona del museo.