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Il ritorno di Alessio Forgione: “Amoresano è tornato, ma è tutta un’altra storia”

A Fanpage.it, lo scrittore napoletano presenta il suo ultimo romanzo “Il nostro meglio”, dal 9 settembre in libreria per La Nave di Teseo: “È tornato Amoresano, ma non è uno spin-off e nemmeno un prequel”. Sul Premio Strega: “Chi scrive, ci tiene a ottenere un certo tipo di riconoscimento. Però, scrivere in funzione di un premio, è una cosa che non mi interessa”.
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foto di Elio Di Pace
foto di Elio Di Pace

Dopo "Napoli mon amour" e "Giovanissimi", candidato al premio Strega 2020, Alessio Forgione torna da oggi, 9 settembre, in libreria con "Il nostro meglio". È un romanzo molto atteso, il primo che lo scrittore napoletano pubblica con La nave di Teseo, dopo i due precedenti con NNE. Il protagonista del romanzo è Amoresano, già al centro di Napoli Mon Amour, che qui ritroviamo in due momenti differenti della vita: il bambino Amoresano e il giovane Amoresano. Narrato al tempo presente e in prima persona, il vissuto del protagonista si intreccia di continuo per dare modo al lettore di vivere la sua trasformazione. Alla fine, come suggerisce la seconda di copertina, Amoresano scoprirà "il prezzo rovente dell’amore che abbiamo ricevuto e di quello che non sappiamo dare". Alessio Forgione ha presentato a Fanpage.it il suo romanzo, rispondendo alle nostre domande e spaziando anche su altro: dai libri che legge alla letteratura indipendente, dal Premio Strega alla delicata questione contrattuale che c'è tra Lorenzo Insigne e il Napoli, la squadra del cuore dello scrittore.

Partirei da una sorta di disclaimer, Amoresano è tornato a essere protagonista ma questo romanzo non è uno spin-off, non è un sequel di Napoli Mon Amour.

Esatto. E non è nemmeno un prequel. Si condividono gli stessi personaggi, come la famiglia di Amoresano già presente in "Napoli Mon Amour", così come Maria Rosaria già presente in "Giovanissimi".

Ma non è una saga. 

No, è un gioco di incastri in cui ricorrono personaggi già apparsi e che continuano a incrociarsi. “Il nostro meglio” è successivo a “Giovanissimi” ma è precedente a “Napoli Mon Amour”. E questa storia andrà ancora avanti. Il percorso continuerà ma quello che mi interessa è che il lettore abbia libertà di scegliere come meglio crede quale libro leggere prima, quale leggere dopo o quale libro non leggere proprio.

Ne “Il nostro meglio”, Amoresano è un nipote che sa che sta per perdere la nonna e con lei una serie di cose, di legami, di evoluzioni che inevitabilmente condurranno alla fine della giovinezza. 

Amoresano e la nonna hanno un rapporto assolutamente simbiotico, di assoluta complicità. Quando gli viene detto che questa nonna morirà di lì a poco, a me è sembrato importante raccontare la realtà delle cose, ovvero, di quando ci viene detto che morirà una persona cara, che ci ha amato e che ci ha cresciuto.

E come si racconta?

Quando una persona cara muore, muore ogni giorno. Il lutto è come un proiettile che ti colpisce e non passa mai, perché continua a colpirti ogni giorno. Mi interessava questo e l’unico modo per rendere questo il più palese possibile al lettore, era mettere tutto al presente e dare due versioni di Amoresano: l’Amoresano bambino e l’Amoresano giovane. E sì, la morte di sua nonna è la pietra tombale della sua giovinezza. Perché proprio quando sta per smarcarsi da tutti, lui si ritrova di nuovo invischiato nella sua famiglia. E scopre che quelli che ha attorno, sono tutti più preparati di lui. Perché questa cosa che arriva è troppo più grande di lui, e deve prima schivarla e poi capirla.

Angelo, Maria Rosaria e Anna. Tre personaggi con cui Amoresano si confronta, tre personaggi che sembrano quasi speculari a lui. 

Sono personaggi che condividono la stessa attitudine alla vita. Anche in questo caso, come nella vita reale, i miei amici condividono molto di me stesso perché gli amici questo sono: una sorta di riconoscimento di se stessi negli altri. Allo stesso modo, questi personaggi hanno la funzione di uno specchio, lasciano specchiare Amoresano, lo lasciano controllare chi è rispetto agli altri.

Come li hai messi su carta?

Sono un po’ persone che ho conosciuto, un po’ persone che si sono perse in giro per il tempo e per il mondo. Sono persone vere. Io metto nei romanzi solo le persone che mi piacciono.

“Sono una persona superficiale e quindi tutto quello che mi accade, mi accade per caso”, dice Amoresano nel libro.

Questo concetto di superficialità per me è molto vicino al concetto di superficialità di Francesco Piccolo ne “Il desiderio di esser come tutti”. Ovvero, si è  superficiali perché non si provano sensazioni sulle cose che accadono. Amoresano, essendo giovane, è scambiato per superficiale perché non sente il dolore, ma cerca di analizzarlo. Lui è una persona in disparte, sì, che non è al centro della danza; però, sta guardando gli altri danzare.

Cosa diresti ad Amoresano, se lo incontrassi?

Tu non sei superficiale. Sei un riflessivo, una persona che ha bisogno di capire le cose prima di lanciarsi.

L’equilibrio tra lo scrittore e il personaggio. Non è sempre detto che le opinioni e i gusti di un personaggio devono per forza coincidere con quelli dell’autore. Questa è una cosa che può apparire scontata, ma in realtà non lo è affatto. Ti sei mai trovato in una situazione del genere? 

Certo. Nella prima pagina di “Giovanissimi”, il libro precedente, il mister chiama uno dei suoi giocatori “Ricchione”, in tono offensivo. In quel momento ci stava, ma io non userei mai questo tono. Le persone non sono al cento per cento piacevoli, io da narratore devo avere il rispetto del personaggio, lasciarlo libero anche di farlo diventare mostruoso.

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Passare da NNEditore a La Nave di Teseo. Proviamo con le metafore calcistiche: sei passato dalla squadra di provincia a quella costruita per vincere il campionato?

Diciamo che ho cambiato squadra e sono soddisfatto, sono libero e non ho nessuna intenzione di andarmene. Se restiamo nell’ambito calcistico: io tifo per il Napoli e non scrivo per il Napoli, quindi posso scrivere per chi voglio. Il mio obiettivo è scrivere sempre meglio, rinnovarmi, continuare a cercare. Anche per questo, è stato bello fare due libri con NNE, ma è anche giusto che io continui a cercare altre strade.

Ti abbiamo visto al FLIP, il festival della letteratura indipendente, che si è tenuto a Pomigliano D’Arco. 

La realtà indipendente napoletana è così indipendente da essere anarchica. Come i napoletani, del resto. Li conosco tutti, li leggo. È un momento molto positivo per la letteratura a Napoli: Pidgin, Wojtek e Polidoro stanno facendo cose molto importanti. Pubblicano libri belli, coraggiosi, seguendo la loro linea, fregandosene della logica del mercato. Li seguo e lo faccio da appassionato.

Uno scrittore ci pensa mai ai premi letterari? In particolare, al più importante, lo Strega? 

Quando mi è stato proposto di far partecipare “Giovanissimi” al Premio Strega, la mia risposta fu: “Prima o poi, uno Strega lo voglio vincere”. Perché credo sia una cosa che tutti vogliono vincere. Chiunque scrive, ci tiene a ottenere un certo tipo di riconoscimento. Chi dice il contrario, non lo so, forse non crede in se stesso. Ma io a chi dice il contrario, non credo. Però, scrivere in funzione di un premio, è una cosa che non mi interessa.

A proposito di premi: Trevi ha vinto lo Strega, Caminito ha vinto il Campiello. Li hai letti? 

Non li ho letti, ma fanno parte entrambi della mia lista – lunghissima – delle cose che ho da leggere. Mi interessa leggerli, come mi interessa leggere qualsiasi libro.

Cosa stai leggendo in questo momento? 

In questo momento sto leggendo “La fuga dei corpi” di Andrea Gatti (in uscita il 15 settembre per i tipi di Pidgin, ndr). Mi sta piacendo.

Come decidi cosa leggere?

Se mi interessa qualcuno, inizio a leggere tutto quello che ha scritto. Il mio approccio è appassionarmi a determinati autori, se mi piace resto, altrimenti vado oltre. Perché per me il romanziere è quello che scrive sei, sette, otto, nove, dieci romanzi e poi lo si valuta all’interno di un percorso, non per la singola vetta.

Torniamo al calcio, prima di salutarci. Lorenzo Insigne è il protagonista di un passaggio di “Napoli mon amour” che mi sembra tremendamente attuale: “La sua incompiutezza rappresentava la napoletanità, e il fatto che i napoletani non capissero la sua napoletanità era un altro esempio della napoletanità stessa”. Come finisce la storia tra Lorenzo e il Napoli? 

Ho capito che il mondo fuori pensa che sia Lorenzo Insigne ad avere il coltello dalla parte del manico. Per me non è così. È un giocatore fortissimo, è la bandiera del Napoli, è il capitano del Napoli, tifa Napoli e mi sembra che qualcuno gli stia dicendo: “Ah, tu stai bene qua, questa è casa tua? Allora, se è così, devi accettare meno soldi”. È una cosa ingiusta. Lorenzo Insigne ha costruito la sua fortuna da solo ed è giusto che ottenga economicamente quello che chiede. E se il Napoli non è in grado di accontentare economicamente il suo calciatore più rappresentativo, allora si deve solo vergognare.

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