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“Il Principe” di Machiavelli torna in libreria a 500 anni dalla prima stesura

Per il cinquecentesimo anniversario torna in libreria “Il Principe” di Machiavelli, edito da Donzelli. Il celebre trattato di dottrina politica è accompagnato da una versione in italiano moderno, curata dallo stesso Carmine Donzelli, e da un’introduzione e un commento dello studioso e docente Gabriele Pedullà.
A cura di Andrea Esposito
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Era l’autunno del 1512 quando Niccolò Machiavelli, confinato appena fuori Firenze con l’accusa di aver partecipato alla congiura antimedicea ordita da Pietro Paolo Boscoli, iniziò la stesura di un trattato dal titolo “De Principatibus” (Sui Principati) che terminerà nel dicembre dell’anno successivo, diventando uno dei testi più celebri dell’intera storia della letteratura.

Il titolo in questione è naturalmente “Il Principe”, come da secoli ormai si tramanda, un libro la cui fortuna è pari soltanto alla quantità di fraintendimenti e strumentalizzazioni che hanno finito per stravolgerne la fisionomia e il contenuto. Basti pensare, ad esempio, a concetti chiave come “mezzi e fini”, oppure alla “politica come tecnica”, o ancora al “partito come moderno Principe”, e così via.

Ed è proprio sulla scorta di queste considerazioni, e naturalmente per celebrare degnamente la simbolica ricorrenza dei cinquecento anni dalla stesura, che l’editore Donzelli ha ripubblicato il celebre trattato di dottrina politica accompagnandolo con una versione in italiano moderno, curata dallo stesso Carmine Donzelli, e da un’introduzione e un commento dello studioso Gabriele Pedullà.

A prima vista potrebbe sembrare un’operazione a esclusivo appannaggio di esperti e filologi eppure siamo certi si tratti di qualcosa di molto di più, poiché la patina di interpretazioni sedimentate sul classico di Machiavelli è tale da stravolgerne completamente il messaggio e soprattutto i riferimenti, il che in sostanza, finisce col renderlo un testo inutilizzabile se non nella sua dimensione di feticcio.

Divenuto a partire dal XVII secolo uno degli specchi della coscienza occidentale, “Il Principe” e con esso il suo autore, è stato infatti utilizzato per elaborare da un lato l’apologia della modernità (come avviene in Hegel e in Croce) dall’altro, la sua feroce condanna (come in Schmitt, Strauss e Arendt). Un’ipoteca troppo pesante che l’edizione del cinquecentennale prova a liquidare attraverso una ricognizione storica molto accurata che approfondisce sia gli autori classici a cui si fa riferimento nel trattato sia tutta la letteratura quattrocentesca contro cui Machiavelli polemizza. Il lettore moderno avrà così la possibilità di accedere anzitutto alle grandi categorie concettuali del Rinascimento e in seguito poter inserire all’interno di questa cornice la discontinuità rappresentata dal “Principe”. Infine vi è anche una particolare attenzione da parte dei curatori per le pratiche sociali del tempo, direttamente utili a comprendere il discorso machiavelliano, come ad esempio: la giurisprudenza, senza cui è difficile capire la portata scandalosa o meno delle affermazioni dell’autore, ma anche la teoria degli umori, il dibattito sul libero arbitrio, il sistema del mecenatismo, le convenzioni dei generi letterari.

Tutto ciò, per un verso, contribuisce ad aumentare le dispute tra gli studiosi, i quali possono polemizzare sulla possibilità o meno che Machiavelli abbia letto quel determinato testo, quel determinato autore, ma poco importa a tutti gli altri che, usufruendo di uno sfondo maggiormente ricco di dettagli, possono entrare a contatto con un sistema di pensiero che senza dubbio ha contribuito a influenzare l’autore, riportando così l’opera al suo contesto originario.

L’operazione in sé è quindi da considerarsi, come suggerisce lo stesso Pedullà, una sorta di restauro che sottrae il testo alle formule ideologiche degli ultimi due secoli restituendoci un classico "tutto nuovo" su cui "proiettare le passioni del XXI secolo piuttosto che quelle del XIX o del XX”.

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