Edmund Blair Leighton vive la sua giornata con una cadenza quasi ossessiva. Ogni giorno, alla stessa ora, il suo pennello si posa sulla tela e vi resta sinché egli non esce per la sua quotidiana passeggiata nella campagna inglese. Passa ore, giorni, settimane in un centimetro di quadro, definendo dettagli di abiti e acconciature e sguardi.
È il pittore più minuzioso d’Inghilterra. E anche il più ritroso. Sebbene dal 1878 al 1920 ogni anno – apparentemente indifferente alle Guerre così come agli eventi della sua stessa vita – esponga le sue opere alla Royal Academy, non ne diventerà mai membro, né associato. “Non ho tempo”, diceva. “Devo lavorare ai miei dipinti. Devo viaggiare molto. Non avrei tempo per le riunioni, per i ritrovi mondani”. In realtà, Edmund Leighton non esce di casa se non per la sua solita passeggiata campestre. Sono però davvero tanti i viaggi che egli compie: in compagnia di cavalieri e dame nell’incanto magico di istanti medievali, descritti come se il pittore li avesse veduti, reinterpretati nella magnifica narrazione fiabesca dell’acribia magistrale del suo tratto.
Sua moglie Kate lo sa. Forse è l’unica persona al mondo a saperlo. Suo marito viaggia moltissimo, in mondi lontani, di cui riporta testimonianza sulla tela. Lo vede tornare di sera a letto, felice e stanco; lui la bacia sulla fronte, e si addormenta tornando in altri mondi.
Vi sono voci, anime che dai tempi remoti vengono a lui, per il bisogno di essere narrati. Guerrieri e fanciulle, crociati e donne. Le armi, gli amori. E così accade quando in un pomeriggio di pioggia Edmund Leighton sembra immobile nella luce grigia del maltempo inglese, a pochi passi dalla finestra, nel suo studio. Sta lavorando a un dettaglio. Kate, so lei, sa che lui si trova in altri mondi. Egli sta decorando con gigli dorati la tunica del personaggio principale del dipinto, una bellissima ragazza dai capelli biondi, lo sguardo trasognato d’amore perso all’orizzonte.
Ha impiegato tre mesi per realizzare quella manica dell’abito celeste della fanciulla, foderata di seta bianca, al cui interno si lascia intravedere la sottoveste dalle cuciture d’oro come i suoi capelli, in una complessa trama di ricami. Al fianco della ragazza, un uomo più maturo, sui trentacinque, le tiene la mano, rapito da un mistico sentimento erotico. La barba scura richiama il nero serioso della sua veste.
Quel giorno Kate è sorpresa: non vede uscire suo marito per la consueta passeggiata. E la pioggia non gli ha mai impedito di farlo. Lo raggiunge nel suo studio. Vede lo splendido dipinto. “Edmund, oggi salti la tua passeggiata?”. Lui non le risponde, la guarda e poi torna con gli occhi al dipinto, come a dirle che era in corso qualcosa di molto più importante.
Il più grande filosofo del Medioevo, uomo geniale e pio, aveva perso la testa per una ragazza intelligente e bellissima. Il loro amore stava per distruggere entrambi: lui sarebbe stato dannato e mutilato per aver amato una donna; lei sarebbe stata costretta a chiudersi in convento. Si sarebbero scritti l’un l’altro lettere d’amore, condannati ognuno al proprio inferno, lei suora senza vocazione, lui eunuco assalito dai pensieri su Dio. L’uno nell’assenza dell’altro. Sinché egli, dopo anni, sarebbe morto, chiedendo di essere sepolto nel giardino del cimitero del convento in cui lei era rimasta rinchiusa così a lungo. E quando a sua volta la ragazza, di lì a pochi anni, lasciò questa terra, chiese di essere sepolta al suo fianco. Il cadavere dell’uomo, quando la bara di lei fu depositata nella terra, si voltò su di un fianco e aprì le braccia, per accoglierla; e finalmente, ancora una volta, stringerla.
Kate non conosceva questa storia. Ma ora, guardando il dipinto, sa perché suo marito, per la prima volta, non usciva per la sua passeggiata quotidiana. Era in compagnia di Abelardo e del suo amore Eloisa.