Il testo alla cui luce si possono leggere direttamente le fonti di una delle grandi tragedie del “secolo breve” è, in tal maniera, divenuto facilmente disponibile per tutti gli italiani. Così, con stile pubblicitario, ha affermato “Il Giornale”: “in edicola: tutto quello che non sapete”. E ha precisato, poche righe sotto: “imparare dagli errori del passato è un nostro dovere. Ecco perché pubblichiamo il manifesto di Hitler”.
Subito, com’era prevedibile, si è scatenata la polemica. Intere pagine di giornali e ore di tediosissima chiacchiera televisiva consacrate alla faccenda. Che dire? Anzitutto che la scelta commerciale de “Il Giornale” s’è rivelata vincente: vendere, far parare di sé. La società dello spettacolo si fonda appunto su questo, e perfino il “Mein Kampf” può diventare un utile oggetto-merce da vendere e, soprattutto, da usare come gadget pubblicitario.
Hitler ha perso, è un dato di fatto: la sua follia criminale è stata fermata. Non ha perso, invece, il capitale, che può ora tranquillamente impiegare ad usum sui Hitler come gadget commerciale. La follia criminale del mercato continua imperterrita. Ed è tragico rilevare che quanti ora, novelli Soloni, si impuntano contro l’uscita del “Mein Kampf” di Hitler con il “Giornale” trovino fisiologico, normale e del tutto accettabile che il modello della società competitiva – il crimine dei nostri giorni, ora che Hitler non c’è più – sia onnipervasivo e ubiquitario, ergendosi a discorso unico dominante, propalato nei licei e nelle università.
Onestà vorrebbe che i crimini venissero condannati tutti con eguale forza e non a correnti alternate: e, invece, la giusta critica dei crimini nazisti si accompagna quasi sempre alla placida accettazione dei crimini liberisti del “libero” mercato. L’incoerenza spadroneggia. E la critica del passato figura troppo spesso come giustificazione per il presente.
Personalmente, trovo surreali quanti vanno convintamente sostenendo – in primis quelli de “Il Giornale” – che il ‘Mein Kampf' deve essere letto, meditato, studiato. Aveva certo ragione il filosofo medievale Ugo di San Vittore, allorché scriveva testualmente: “impara tutto, vedrai che poi nulla è superfluo”. Aveva ragione ed è proprio per questo che, mi si consenta, se l’obiettivo è imparare e favorire quello che Gramsci chiamava “progresso intellettuale di massa”, allora v’è sicuramente di meglio da leggere prima del “Mein Kampf”: quanti vanno ripetendo la necessità di leggere il “Mein Kamp” hanno mai letto, ad esempio, Platone e Cartesio? Fichte e Tommaso? Hegel e Spinoza?