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Il liberismo ha cancellato le parole “sfruttamento” e “ingiustizia” dal nostro vocabolario

Il pensiero neoliberale ha eliminato parole come “sfruttamento” e “ingiustizia”, che fino a non molti anni fa erano all’ordine del giorno. Sono stati sostituiti dalla nuova figura semantica del “disagio”.
A cura di Diego Fusaro
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Con l’avvento della neolingua neoliberale si sono eclissati dal vocabolario lemmi come “sfruttamento” e “ingiustizia”, che fino a non molti anni fa erano all’ordine del giorno. Sono stati sostituiti dalla nuova figura semantica del “disagio”.

A differenza dello sfruttamento e dell’ingiustizia, che alludono a una relazione conflittuale nella quale vi è un polo che sfrutta e l’altro che è sfruttato, una parte che commette l’ingiustizia e l’altra che la subisce, il disagio riguarda sempre e solo l’io individuale nel suo rapporto con sé e con il mondo, in uno scenario falsamente raffigurato come privo di legami sociali e di conflittualità immanenti.

Sentimento di angoscia e di inadeguatezza scaturente dall’incapacità del soggetto di adattarsi alla situazione, il disagio è forma espressiva coerente dei processi di deresponsabilizzazione tipici della mondializzazione mercatistica: nella quale le colpe sono sempre di quelle entità “sensibilmente sovrasensibili” (Marx) che sono i mercati.

In forza di tali processi, i fallimenti e le ingiustizie non vengono mai fatti dipendere da ciò da cui realmente dipendono, ossia dai rapporti di forza reali e dalle prosaiche logiche del capitale, bensì sempre e solo dall’incapacità degli io individuali di fare fronte al mondo oggettivo, di adeguarsi alle situazioni, di modellare adattivamente la propria soggettività in coerenza con le condizioni date.

Le contraddizioni reali di un paesaggio intessuto di violenza economica e di sfruttamento, di alienazione e di miseria, cessano di essere anche solo nominate. In loro luogo, subentrano i “disagi” soggettivi di chi non sa adattarsi.

La prospettiva della rivoluzione come via corale per superare le contraddizioni oggettive cede, allora, il passo alle figure dello psicologo e del counselor come unici possibili guaritori dei disagi dell’individuo, senza che l’oggettività dei rapporti della produzione sia anche solo scalfita o nominata.

Da parte integrante della realtà oggettiva, la contraddizione è stata trasfigurata in parte dell’individuo non adattato; con la conseguenza per cui si è indotti, con la sintassi di Ulrich Beck, a cercare “soluzioni biografiche” a “contraddizioni sistemiche”, cambiando se stessi più che l’oggettività contraddittoria dei rapporti sociali. È, una volta di più, il capolavoro della ragione tecnocapitalistica.

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Sono nato a Torino nel 1983 e insegno Storia della filosofia in Università. Mi considero allievo indipendente di Hegel e di Marx. Intellettuale dissidente e non allineato, sono al di là di destra e sinistra, convinto che occorra continuare nella lotta politica e culturale che fu di Marx e di Gramsci, in nome dell’emancipazione umana e dei diritti sociali. Resto convinto che, in ogni ambito, la via regia consista nel pensare con la propria testa, senza curarsi dell’opinione pubblica e del coro virtuoso del politicamente corretto.
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