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Il godimento mortifero del Caso Varani: la dissoluzione di ogni residuo di umanità

Com’era prevedibile, il “caso Varani” continua a monopolizzare la cronaca nera. Tutti si sentono in dovere di dire la loro, come se non fosse possibile astenersi dal commentare. Tutti non fanno altro che frugare tra le pieghe delle vite personali. Pochi, invece, riflettono sull’essenza del nostro tempo, ponendola in connessione con l’accaduto, che si inquadra nella cornice generale della nostra epoca, ovvero quella dell’eccesso, dell’illimitatezza, del sempre-di-più.
A cura di Diego Fusaro
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In ricordo di Luca Varani
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Si tratta, a ben vedere, di un'epoca che impone come unico orizzonte di senso la crescita illimitata e il superamento di ogni confine.Ciò è suffragato tanto dal discorso del neoliberista, che assume il plusvalore come unico orizzonte di senso; quanto dal discorso del neolibertino, che fa del plusgodimento autistico e individualizzato il solo valore di riferimento della società a cinismo avanzato. In effetti, tutte le grandi patologie del nostro tempo, dalla tossicodipendenza all'alcolismo, si lasciano inquadrare in quest'ottica all’insegna dell’eccesso e del trascendimento del giusto limite. Anche l'anoressia è, in effetti, un'illimitatezza in negativo. Il “caso Varani” ne è un esempio tragico.

Per comprendere quanto accaduto, forse occorre tornare sulla “scena originaria”, in quella villa degli orrori magistralmente delineata da Pasolini in “Salò” del 1975: il godimento mortifero dell’individuo assoluto, senza legami autentici, trapassa nell’eccesso foriero di morte, nella “jouissance mortelle”, come la etichettava Jacques Lacan.

La dissociazione epocale tra legge e desiderio mostra nitidamente due aspetti interconnessi nella vicenda Varani: anzitutto che, quando non è in relazione con il limite, la libertà produce pulsione di morte, come adombrato dalla struttura narrativa di Salò e dal suo ritmo di prestazioni edonistiche e supplizi mortiferi, immagine fedele della civiltà dei consumi e dell’atto coprofagico a cui costringe quotidianamente i suoi sudditi coatti. Senza freni e autorità, il desiderio si converte, infatti, in illimitatezza puramente dissolutiva.

Distrutti i grandi ideali, a sopravvivere è unicamente il godimento non più disciplinato dalla legge, strutturalmente cinico, edipico e narcisistico. In secondo luogo, la dissociazione tra legge e desiderio rivela il volto anarchico del potere, il suo carattere acefalo, poliarchico e rizomatico, quale si è venuto configurando nel capitalismo assoluto, che si riproduce simbolicamente a sinistra, ossia nel quadro dei valori antiborghesi maturati a partire dal Sessantotto.

La sola legge che il capitale impone oggi ai suoi miseri e sempre più docili sudditi è quella sessantottesca del “vietato vietare”, il godimento tantalico sotto il segno dell’alienante lex della mercificazione senza freni. Per questo, il caso Varani è emblema tragico del nostro tempo.

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Sono nato a Torino nel 1983 e insegno Storia della filosofia in Università. Mi considero allievo indipendente di Hegel e di Marx. Intellettuale dissidente e non allineato, sono al di là di destra e sinistra, convinto che occorra continuare nella lotta politica e culturale che fu di Marx e di Gramsci, in nome dell’emancipazione umana e dei diritti sociali. Resto convinto che, in ogni ambito, la via regia consista nel pensare con la propria testa, senza curarsi dell’opinione pubblica e del coro virtuoso del politicamente corretto.
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