Cosa ci fanno un regista (napoletano) e un compositore contemporaneo a La Fenice di Venezia? Mettono in scena un'opera musicale tratta da una commedia di Eduardo Scarpetta, naturalmente.
Ancor prima della Prima presso il Teatro Malibran di Venezia, ore 19 di sabato 15 ottobre, questo "Medico dei pazzi" ispira simpatia e fascino anche a causa di quel pizzico di sana follia di cui avrebbe bisogno in dosi maggiori il mondo dell'opera e del teatro italiano.
Non a caso si intitola "‘O miedeco d'e pazze" (Il medico dei pazzi), la celebre commedia scritta in napoletano da Eduardo Scarpetta nel 1908 che nel 1954, assieme a Totò, Mario Mattioli porterà sul grande schermo.
Stavolta, dall'interesse di Giorgio Battistelli, compositore contemporaneo tra i più celebrati nel nostro panorama, ecco venir fuori un'opera musicale con direzione d'orchestra affidata al non ancora quarantenne Francesco Lanzillotta, mentre scene e regia sono del partenopeo Francesco Saponaro, figura autorevole di quel teatro capace di miscelare tradizione e "interferenze" del contemporaneo, spaziando dalla musica al cinema.
"L’idea di utilizzare a un capolavoro come ‘Il medico dei pazzi' scritto in napoletano da Eduardo Scarpetta nel 1908, per dar vita a un’opera musicale mi è sembrata straordinaria per raccontare la mia città da una prospettiva insolita e innovativa – ci ha dichiarato Saponaro – Con Giorgio Battistelli ho avvertito subito che si era instaurata una dialettica estremamente vitale tra un testo della tradizione e la prassi compositiva di un autore contemporaneo.
Partiamo dall'ambientazione. In che periodo si svolge l'azione?
L'allestimento si ispira alla versione del 1959 di Eduardo De Filippo. Questo mi ha spinto a scegliere un periodo emblematico della nostra storia che va dalla fine degli anni Cinquanta all’inizio dei Sessanta, vale a dire il boom economico. In quegli anni restano ancora plausibili equivoci, contraddizioni e conflitti tra la provincia, il ‘paese’ – da cui proviene Felice – e la metropoli. La musica di Battistelli svolge un lavoro di emersione dei grandi modelli compositivi del Novecento. Per questo trovo molto suggestivo il fatto che si sia scelto il copione di un autore considerato – a torto – convenzionale e lo si sia invece interpretato in una chiave molto più articolata e moderna.
Qual è il rapporto che tra drammaturgia e musica nel "Medico dei pazzi"?
Per la mia precedente esperienza posso dire che lavorare con la musica è molto bello, ma complicato, mettere insieme la musica contemporanea con un libretto che tende alla farsa non è stato affatto semplice. In ogni caso, come a teatro, ho insistito sui rapporti che in genere mi appassionano come regista e spettatore, un teatro dialogico, che faccia della verosimiglianza la sua cifra e che, allo stesso tempo, riesca a inglobare in sé sequenze visionarie, oniriche. Sul piano della sintassi ho provato a mescolare diversi stili, quindi al teatro da camera ho alternato – grazie al coro – scene più collettive. Tra l'altro, per alcune sequenze ho utilizzato una grammatica cinematografica a cui ben si presta l'opera di Scarpetta, assecondando così la drammaturgia musicale.
Rispetto a quest'ultimo aspetto, come ha scelto di lavorare?
Semplicemente ascoltando la musica e facendomi trascinare dal suo nucleo emotivo. Il battito cardiaco generato dall'esperienza di ascoltatore è stato il faro che mi ha guidato nell'organizzazione della regia di quest'opera. Sempre tenendo fede, da un lato, alla plausibilità del teatro e dall'altro, al comandamento della trasfigurazione che nasce dalla sollecitazione della musica, che spesso è l'elemento mancante del teatro di prosa.
Prima ha accennato a una grammatica cinematografica di cui si è fatto, a suo modo, interprete.
Mi sono ispirato a due capolavori del cinema, "L’oro di Napoli" e "Ieri, oggi e domani": li considero, anche cronologicamente, esemplari nel mettere a fuoco quegli anni vorticosi, nei quali Napoli alimenta il dibattito culturale dell'epoca. Ma il montaggio dell'opera segue una dinamica cinematografica. L'uso delle luci, il cut up tra una scene a l'altra, i tagli improvvisi, le incursioni delle ombre che sostengono la verve comica, tutto è visto in chiave, se così si può dire, cinematografica. In più, per dare risalto alla dimensione drammaturgica, abbiamo lavorato in profondità sulla specificità dei personaggi.
Come?
Il coro, per esempio, oltre a rappresentare la comunità dei cittadini, è fatto di individualità che emergono durante la rappresentazione. Ogni personaggio si distingue dall'altro per il suo carattere, per il suo costume, per il suo ruolo sociale all'interno della collettività. E ognuno, a suo modo, rappresenta Napoli e la sua vita sociale, dal pizzaiolo al ragazzo di strada. In questo senso, è stato particolarmente interessante lavorare ai costumi con Carlos Tieppo, il suo lavoro nasce da incursioni napoletane insieme nei mesi scorsi.
In che modo si colloca "Il medico dei pazzi" all'interno del suo percorso di regista teatrale?
In un certo senso, Scarpetta è il coronamento di un percorso sulla drammaturgia napoletana che ho iniziato da qualche anno, lavorando prima su Eduardo, poi su Patroni Griffi e, infine, su Enzo Moscato. Questo è il teatro in cui riesco a pormi, come regista e spettatore, nella condizione di un bambino che crede alla magia che ha davanti a sé, tra realtà e trasfigurazione.