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Dialetti d'Italia

Il “femminiello” a Napoli: l’origine sacra di una parola piena di storia e folklore

La lingua napoletana ha inventato una parola che non ha corrispettivi in nessun altro dialetto: questo perché la figura stessa del “femminiello” non conosce pari, né per importanza né per fascino. Si tratta di un personaggio quasi mitologico in quel di Napoli, il cui carattere “sacro” è attestato fin dall’antichità e la cui importanza nella storia della città è fondamentale. Ecco perché.
A cura di Federica D'Alfonso
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Danza popolare tipica delle celebrazioni della Candelora della Madonna di Montevergine.
Danza popolare tipica delle celebrazioni della Candelora della Madonna di Montevergine.
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Nel dialetto napoletano esiste una parola unica che non è attestata in nessun’altra lingua: una parola particolare, che descrive un personaggio molto importante per quella Napoli attaccata visceralmente alla sua origine a metà fra la spiritualità pagana e la saggezza popolare. Identificato comunemente con un transessuale, in realtà il "femminiello" è molto più di questo. Ma come nasce questa parola? E soprattutto, perché questo personaggio a Napoli è così importante?

In tempi antichi l’omosessualità era considerata una pratica maligna da esorcizzare, o una degenerazione da guarire o punire a seconda della “gravità” con cui si “manifestava”. Il fatto che invece, a Napoli, si sia inventata una parola per definirne i tratti caratteristici la dice lunga sulla storia di tolleranza e accettazione che ha sempre caratterizzato questa città fin dai tempi più antichi: il “femminiello”, ovvero un uomo “con movenze ed atteggiamenti marcatamente femminili”, è sempre stato una figura fortemente radicata nel tessuto sociale e addirittura nella spiritualità del popolo partenopeo, come testimoniano i celebri rituali della Candelora a Montevergine. I “femminielli” a Napoli sono una vera e propria istituzione: ecco perché.

Napoli fra sacro e profano: la figliata d'e femminielli

Era un uomo, senza dubbio, un giovane di non più di vent'anni. Si lamentava cantando a bocca aperta, e dondolava la testa qua e là sul guanciale, agitava fuor dei lenzuoli le braccia muscolose strette nelle maniche di una femminile camicia da notte, come se non potesse più sostenere il morso di qualche sua crudele doglia.

Esiste un legame profondo fra la città di Napoli e la “spiritualità” pagana: ne è esempio l’antico rito della “figliata d’e femminielli” praticato per secoli alle pendici del Vesuvio e descritto anche da Curzio Malaparte del suo romanzo “La pelle”. Si tratta di pratiche antiche, ancestrali, legate a conoscenze magiche e alchemiche ormai perdute ma che sono state assimilate nel folklore partenopeo proprio attraverso la figura del femminiello.

Il legame della cultura popolare partenopea con quella greca è innegabile ed è proprio da questo legame che nasce il posto quasi “sacro” del femminello all'interno della cultura e della società: per gli antichi greci e romani l’ermafrodito era un personaggio sacro, in quanto figlio della bellezza e dell’amore e dunque, simbolo della perfezione della natura. Esistono documentazioni che descrivono di rituali in onore della nascita del “Rebis”, divinità venerata dagli iniziati per la sua natura “doppia”, che erano appunto presieduti da un ermafrodito, l'unica creatura che contenesse i due elementi in cui è suddiviso tutto il creato.

La forte carica simbolica dell’ermafrodito si è in un certo senso trasmessa in quella del femminiello, appunto nel rituale della figliata: una “magia imitativa” capace di suggestionare a tal punto i protagonisti tanto da far loro avvertire le sofferenze e le doglie del parto. A ore di travaglio segue il momento più importante: dalle cosce del femminiello esce un bambolotto di pezza, simbolo della nuova nascita e della vita che ritorna.

Un'etimologia senza discriminazione

L’etimologia di questa parola, che rappresenta un unicum nel panorama dei dialetti, non ha in realtà niente di particolare: l’espressione “femminiéllo” (o “femmenèllo”) deriva dalla parola latina “fémmina” che a sua volta racchiude in sé il significato di “colei che allatta”. Si tratta infatti di un costrutto che unisce la radice latina “fa”, e che rimanda all'idea di allattare, e il suffisso participiale “mina”, che suggerisce e rafforza l’idea della generazione, del parto e della cura della prole.

Si tratta di una parola che evidenzia, attraverso il suo significato, quanto importante e centrale fosse questa figura nel tessuto sociale della città, sia nei tempi antichi che in quelli del passato più recente. Non c’è discriminazione, né ghettizzazione, nell'origine etimologica di questa parola: anzi, era pratica comune quella di affidare al femmeniello la cura dei propri figli, o assegnargli un ruolo centrale nelle manifestazioni folkloristiche come la tombola o le sfilate in maschera per le vie della città.

 

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