Il confronto tra Elena Ferrante e Marina Abramović è destinato a rimanere nella memoria
Elena Ferrante, autrice della pluripremiata tetralogia de L'Amica Geniale, è con ogni probabilità la scrittrice italiana più conosciuta oltreoceano: negli Stati Uniti si è creato un vero e proprio culto attorno alle Neapolitan Novels, e l'alone di mistero che avvolge la sua figura (ha sempre optato per l'anonimato e, com'è noto, la stampa di settore rilancia periodicamente ipotesi relative alla sua "vera" identità) l'ha trasformata in una sorta di icona. Ferrante è, da tempi non sospetti, una convinta estimatrice del lavoro dell'artista serba Marina Abramović: il Financial Times ospita un dialogo appassionato tra queste due icone culturali contemporanee, che ha toccato diversi livelli dei rispettivi modi di concepire l'atto artistico, il rapporto con il pubblico, la curatela dell'immagine e i processi creativi alla base delle loro opere. Il dialogo è avvenuto attraverso uno scambio "epistolare": una serie di lunghe email (quelle di Ferrante sono state tradotte in inglese da Anne Goldstein, proprio come i suoi libri) che hanno dato vita a un confronto appassionato e destinato a rimanere impresso nella memoria.
Elena Ferrante e Marina Abramović tra anonimato e iper-esposizione
Una delle differenze d'approccio più evidenti tra Ferrante e Abramović è stata evidenziata proprio dalla scrittrice italiana, che ha sottolineato l'antitesi che separa la sua opzione in favore dell'anonimato dall'iper-esposizione che, di contro, caratterizza da sempre l'attività artistica della serba, che per 50 anni ha posto il suo corpo al centro della scena, in una sorta di indistinzione tra carne viva e raffinata produzione intellettuale: un tratto che emerge chiaramente nella performance The Artist Is Present, in cui Abramović trasforma sé stessa, l'artista, nell'opera d'arte ("you make of Marina Abramović — the artist — the work itself").
Elena Ferrante: "Il mio vero corpo è la scrittura"
Ferrante ha aperto anche qualche spiraglio sul suo passato, sottolineando tutte le difficoltà che, da giovane, ha dovuto affrontare a causa della sua timidezza e del suo sentirsi perennemente inadeguata: quand'era un'adolescente si vergognava di qualsiasi cosa e, quando i suoi libri sono diventati un caso editoriale, è stata tentata dalla fama, dal successo e dalle luci della ribalta. In ultima istanza, però, ha preferito preservare la sua immagine pubblica, tracciando una netta linea di demarcazione tra scrittura e vita privata e comprendendo che il suo vero "corpo", da quel momento in avanti, sarebbe stato rappresentato unicamente dalla scrittura.
Marina Abramović: dal Brutto anatroccolo alla performance art
Anche Marina Abramović ha rivelato alcuni aspetti poco noti della sua vicenda personale, come quando le proposero di illustrare un libro per bambini a sua scelta e, senza pensarci due volte, optò per Il brutto anatroccolo, dato che da piccola si identificava pressoché totalmente nella fiaba danese scritta da Hans Christian Andersen nel 1843 e si distingueva per goffaggine e, almeno a sua detta, una totale inadeguatezza: "Le mia gambe erano magrissime, indossavo scarpe ortopediche e portavo degli occhiali bruttissimi (…). Nella mia mente, ero la bambina più brutta della mia scuola". La sua quotidianità, però, fu totalmente stravolta dall'incontro con la performance art: "Quando mi esibisco, mi sento bella, radiosa e potente. Tutto è possibile e il mondo intorno a me diventa luminoso". Questo è anche il motivo per cui, nel caso di Marina Abramović, la separazione tra sfera pubblica e privata ha sempre avuto dei contorni parecchio sfumati: "Come artista performativa, ho bisogno dell'attenzione e dell'energia del pubblico, e un modo per conquistarla è mettere in scena le mie paure, vulnerabilità e dolori, in maniera tale che il pubblico possa relazionarsi con loro".
Ferrante ad Abramović: "Voglio scrivere un libro ispirato alla tua figura"
Ferrante ha colto l'occasione per porre ad Abramović qualche domanda sul futuro dell'arte prodotta da donne in un mondo che, anche in riferimento a quest'ultima, continua a essere dominato dagli uomini e dal protagonismo maschile. Le due si sono soffermate sull'esempio significativo di Louise Bourgeois, che ha potuto dedicare anima e corpo all'arte soltanto in seguito alla morte del marito: "Dobbiamo lottare affinché nessuna donna debba mai più aspettare che il marito muoia per esprimere il proprio genio", ha dichiarato Ferrante, che ha poi confessato di avere, da "qualche decennio", un libro nel cassetto mai realizzato, ispirato a una performance che Abramović mise in mostra a Napoli nel 1974, presso lo Studio Morra: "Non voglio annoiarti con tutte le bozze che ho accumulato negli anni", ha dichiarato Ferrante, "Ti dirò solo che doveva essere la storia di una giovane napoletana che viene trascinata da un uomo più anziano in quella galleria, in mezzo al tuo pubblico". Un dialogo stupendo e stimolante di cui consigliamo la lettura integrale.