Il 29 giugno moriva Ettore Petrolini, intramontabile artista dall’animo eclettico
Il 29 giugno del 1936 fu un giorno triste per Roma e per l'Italia tutta, che con la prematura scomparsa di Ettore Petrolini, morto a soli 52 anni di malattia, non solo perse un grande scrittore ma anche un attore e un comico come pochi, perché dell'intera comicità del ‘900 italiano, si può dire, ne fu il precursore. Uomo dal talento versatile, dalla natura eclettica per la maniera in cui si approcciava alle arti tutte, perché tutte le abbracciava con completezza e mai superficialmente, dalla letteratura, passando per la drammaturgia, dal canto fino al cinema, il suo viaggio biografico andò sempre di pari passo al palcoscenico.
Una star del varietà
Divenne molto presto un simbolo del varietà e del colorato mondo dell'avanspettacolo, che il suo temperamento contribuiva a colorare ancor più con quel tocco di spirito dissacrante, tipico della sua personalità. Come dimenticare il suo sbalorditivo ringraziamento a Mussolini, a cui dopo aver ricevuto una medaglia conferitagli, proprio dal duce in persona, pensò bene di rispondere: "E io me ne fregio". Agli esordi della sua carriera era già una star del varietà, ma per lui intrattenere non è semplice parodia ma una vera e propria distorsione della realtà e da maestro puntualizzava molto su questa sottile ma incisiva sfumatura attoriale: "Imitare non è arte perché se così fosse ci sarebbe arte anche nella scimmia e nel pappagallo. L'arte sta nel deformare", si legge così in "Al mio pubblico", uno dei suoi pensieri sparsi ritrovato fra gli scritti postumi del 1937.
Gli esordi fra i ‘caffè concerto' e i teatri popolari
Itinerava fra i teatri popolari, si radicava in quei ‘caffè concerto‘, come il Gambrinus e il Morteo di Roma, questi posti non solo amava viverli ma anche raccontarli e dipingerne le atmosfere:
Io provengo, e lo dico con orgoglio, da una piazza di pubblici spettacoli: Piazza Guglielmo Pepe, e da lì nei piccoli caffè-concerto, dove in fondo a quei bottegoni c'era sempre un palcoscenico arrangiato alla meglio: poche tavole, molti chiodi, e quattro quinte, fondale di carta, con quasi sempre dipinto il Vesuvio (in eruzione, naturalmente), ed ecco l'elenco artistico: prima esce lei, poi esce lui, poi escono tutti e due insieme, ricomincia lei… e così via di seguito fino a mezzanotte: il tutto intercalato da uno sminfarolo al pianoforte.
Le indimenticabili ‘macchiette', oltre la parodia
E passando da caffè in caffè Petrolini era divenuto il re delle ‘macchiette‘, memorabile la ormai storica parodia di Faust, Oh Margherita!, che risale ad una tournée del lontano 1907. Ma dentro la rivisitazione di un genere, che di certo non faceva fatica ad intrattenere un pubblico ampio in cerca di leggerezza e di evasione, c'era quel particolare ingrediente di originalità, un'arma di cui l'artista era ben consapevole di possedere e guai a definirlo un semplice macchiettista, non perse tempo a puntualizzarlo nella sua Petrolineide, ne "Il café chantant" del 20 luglio 1914. Scriveva in merito alla confusione dei generi artistici, spesso suscitata proprio dalla sua attitudine eclettica:
Ho importato la parodia. Ho abolito le definizioni di "comico nel suo repertorio"; oppure "comico macchiettista" eccetera, e comparvero — per me — i primi aggettivi di "parodista" o di "comico grottesco" e di "originale", "fantastico", "bizzarro" e via di seguito!
Lo scenario di un talento versatile, dal cinema alla musica
Era il 1919 quando fu chiamato da Mario Bonnard a duettare con Cangiullo nel film Mentre il pubblico ride, e fu in quella occasione che superò brillantemente e con naturalezza anche la prova cinematografica. E non tardi il suo talento lo fece approdare anche in un altro territorio, quello della musica dove vi lasciò il segno: le sue canzoni e filastrocche sono cantate ancora oggi, ma c'è di più, sono canticchiate dalla gente come fossero giunte dal vento e impresse indelebilmente nel repertorio popolare, quello che sta nell'aria, per le strade, tra i vicoli, nelle osterie e a portata di tutti. Come poter dimenticare Tanto pe' cantà, incisa nel lontano 1932 e ripresa da generazioni di attori, come Nino Manfredi per citarne uno.
Aprì il sipario alla romanità
Sì perché tutto quello che veniva pronunciato da Petrolini diveniva proverbiale, un'institutio, era la romanità stessa, quella verace, che subito divenne il simbolo di un certo modo di ‘esser romano' e, accanto a Manfredi, si aggiunsero poi a celebrarla altre icone di Roma, da Gabriella Ferri, a Monica Vitti, fino a Gigi Proietti. Tutti hanno ripreso le sue canzoni, come in un inno corale nell'olimpo della città eterna, fra le costellazioni intramontabili di un palcoscenico senza tempo, di cui fu Ettore Petrolini ad aprire il sipario.