Il 26 settembre è la giornata mondiale del migrante anche per i cattolici di Salvini
Oggi 26 settembre la Chiesa celebra la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, una ricorrenza che, nel calendario cattolico, cade l’ultima domenica del mese di settembre sin dal 1914. E quest’anno il “claim” scelto da Papa Francesco (scusate l’inglesismo ma ormai sembra che Bergoglio sia uno degli influencer più influenti del mondo occidentale) è “Verso un noi sempre più grande”. E non nel senso di aumentare i numeri della comunità cattolica sempre più in crisi, ma di guardare al mondo in modo inclusivo, richiamando il popolo cattolico e tutti e tutte noi ad una presa di coscienza sul modo di considerare chi reputiamo diverso e fuori dal nostro “noi”.
È un urlo fortissimo, un appello a cambiare il “nostro” modo di vivere: per essere cristiani oggi, sembra voler dire il papa, non può più bastare andare a messa la domenica mattina e nel farlo, in un certo senso, sembra (almeno ai miei occhi) rivolgersi a quella parte del mondo cattolico che si sente rappresentata da Salvini e Meloni, che hanno fatto della distinzione fra "noi e loro" la propria ragion d'essere politica: “Siamo tutti sulla stessa barca e siamo chiamati a impegnarci perché non ci siano più muri che ci separano, non ci siano più gli altri, ma solo un noi, grande come l’intera umanità”. E non credo che il papa abbia usato a caso la metafora della barca: negli ultimi 15 anni sono morte 36.000 persone nel tentativo di attraversare il mediterraneo, trentaseimila persone in cerca di un’alternativa al loro inferno, 36.000 persone che hanno perso la vita in mare mentre le barche che li avrebbero dovuti salvare affondavano. Trentaseimila persone che avremmo potuto essere NOI. Ma non lo siamo stati semplicemente perché abbiamo avuto la fortuna di nascere in un’altra parte del mondo, in un paese dal quale, seppure con mille difetti e storture e follie, non abbiamo bisogno di fuggire per continuare a vivere.
36.000 persone che non hanno purtroppo avuto la fortuna di essere messe in salvo da altre barche, quelle delle ONG, i cui equipaggi sono fatti di altre persone che mettono il proprio corpo e la propria vita in pericolo per la salvezza degli altri, persone che mettono quel “noi” al centro di ogni cosa, persone che dovremmo ringraziare ma che invece vengono osteggiati e calunniati di continuo dalla galassia sovranista, proprio perché non operano quella maledetta distinzione fra noi e loro, tanto cara a chi pone se stesso e soltanto se stesso al centro del mondo.
Persone che odiano senza motivo i “negri”, la comunità Lgtb, le libertà individuali e chiunque considerino diverso da loro ma poi ogni maledetta domenica mattina sono lì a messa, dietro i banchi di legno a scambiarsi il segno della pace. I flussi migratori sono come il vento, come le onde, non possiamo fermarli e sono parte della natura stessa dell’essere umano: io non so quale possa essere la soluzione al problema, ma so che per trovare una soluzione bisogna cercarla altrimenti ci riduciamo al rango di bestie, di animali che si distinguono solo in base al colore della pelle, agli odori, all’aspetto o alla forza: “noi e loro” che sarebbe poi la fine della democrazia intesa, nel senso più alto del termine, come condivisione.
Gli “stranieri” in Italia, persone nate fuori dal paese, rappresentano l’8,4 per cento: otto persone e mezza su cento sono stranieri (e dispiace molto per quella persona a metà) ovvero una piccolissima parte, soprattutto se pensiamo che per stranieri non si intendono soltanto quelli che la destra populista ama definire con disprezzo “migranti” ma anche uomini e donne provenienti dagli Stati Uniti, dal Canada, dalla Francia, dai paesi dell’est europeo, dalla Cina. Persone verso le quali però non si scaglia la propaganda sovranista e razzista, semplicemente perché hanno la pelle chiara e questo dimostra quanto il razzismo sia un “pensiero” ottuso e che sarebbe ridicolo se non fosse assolutamente pericoloso. Peraltro gli africani in Italia sono circa un milione e duecentomila persone, ovvero il 2% circa dell’intera popolazione nazionale, nonché il 22% degli stranieri nel paese, quindi la parte minore degli stessi. Per cui la fantomatica invasione africana urlata da Meloni e Salvini non è un pericolo reale, anche perché se come dicono spesso “vengono qui per delinquere e rubarci il lavoro” c’è decisamente un problema di semantica nei lori discorsi, perché o delinquono o ci rubano il lavoro viceversa se fanno entrambe le cose vuol dire che ci sarebbe un problema ben più ampio da risolvere in Italia (qui un approfondimento).
Insomma basta applicare un po’ di logica incondizionata, di numeri e fatti per smontare qualsiasi tipo di tesi razzista, come quelle complottiste o terrapattiste visto che si tratta, in tutti i casi, di tesi fondate sull’ignoranza oramai assurta a virtù e sul totale ripudio dello studio e della conoscenza: è quasi impossibile parlare con persone che si nutrono di questi ragionamenti perché non accettano il dialogo e anzi ti danno del “professorone” o “intellettuale del cazzo” se provi a fornire fonti che non siano “l’ho letto sull’internet libero”. Ed è per questo, forse, che l’appello del Papa risuona ancora più necessario e accorato: si rivolge alla sua comunità, cercando di farsi ascoltare anche da chi, fra di loro, non vogliono sentire.
Mi verrebbe da dire che “loro”, in questo momento, rappresentano uno dei peggiori mali del mondo: ignoranti, ottusi, fascisti, sessisti, omofobi e razzisti. Ma farlo, equivarrebbe a dar loro ragione, a dividere il mondo sempre in due, a polarizzarci in ogni momento, e invece ora più che mai, come dice il poeta Franco Arminio:
“Abbiamo bisogno di contadini,
di poeti, gente che sa fare il pane,
che ama gli alberi e riconosce il vento.
Più che l’anno della crescita,
ci vorrebbe l’anno dell’attenzione.
Attenzione a chi cade, al sole che nasce
e che muore, ai ragazzi che crescono,
attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato.
Oggi essere rivoluzionari significa togliere
più che aggiungere, rallentare più che accelerare,
significa dare valore al silenzio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.”