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Il 23 gennaio muoiono Edvard Munch e Salvador Dalì: due spiriti contrapposti, simboli della stessa epoca

L’uno nel 1944 l’altro nel 1989: il 23 gennaio morivano, a distanza di quarantacinque anni, Edvard Munch e Salvador Dalì. Arte, vita, sofferenza e tempo si sono palesati nelle loro opere in modi diversi, quasi contrapposti. Ma nonostante ci sia quasi mezzo secolo a separare i loro capolavori, Dalì e Munch hanno raccontato entrambi lo stesso uomo: insensato, irrazionale e solo.
A cura di Federica D'Alfonso
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Edvard Munch "Malinconia" (1894).
Edvard Munch "Malinconia" (1894).

Oggi, 23 gennaio, ricorrono due importanti anniversari: sono trascorsi 75 anni dalla morte di Edvard Munch e ben 30 dalla scomparsa di Salvador Dalì. Il primo muore ad Oslo nel 1944, prosciugato dall'alcol e dai continui e sempre più frequenti crolli nervosi, mentre il secondo viene stroncato da un attacco di cuore nel 1989, mentre il suo giradischi passa il “Tristano e Isotta” di Wagner. Due spiriti contrapposti e due differenti modi di vivere l’arte: come dannazione l’uno, come sublimazione della vita stessa l’altro.

Munch e Dalì: l’insensatezza della realtà

"Metamorfosi di Narciso", Salvador Dalì (1936), Tate Gallery, Londra.
"Metamorfosi di Narciso", Salvador Dalì (1936), Tate Gallery, Londra.

Figlio della povertà che affliggeva le campagne norvegesi l’uno, erede di una ricca famiglia borghese l’altro, Munch e Dalì hanno incarnato nelle loro opere, così distanti fra loro, i due spiriti contrapposti di un’epoca. Da un lato il tormento esistenziale e lo sgomento nei confronti della vita rispecchiato nella tela, dall'altro una riflessione filosofica eccentrica e surreale sui paradossi dell’esistenza. A separarli ci sono circa quarant'anni di Storia, e la metamorfosi di un Secolo: se per Munch l’ansia, la depressione e le ossessioni proprie di un uomo tormentato divengono un urlo rivolto a se stesso e del tutto incomprensibile nella sua tragedia per gli altri, per Dalì l’incomprensibile passa attraverso la sublimazione del mondo e un chimerico nascondimento dell’insensatezza della realtà.

A differenza di Dalì, Edvard Munch si rifugia nella pittura quando è già alla soglia della maturità, dopo il vano tentativo di adattamento all'ambiente accademico. Abbandonati gli studi di ingegneria si rivolge allo spirito anticonformista e bohémien per trasformare le sue sofferenze in una massima che caratterizzerà tutta la sua produzione artistica: “scrivi la tua vita” è la preghiera anarchica che Munch trasformerà in colore e forme.

Arte e vita: due soluzioni contrapposte

"Sera sul viale Karl Johan", Edvard Munch (1892), Arts Museum, Bergen.
"Sera sul viale Karl Johan", Edvard Munch (1892), Arts Museum, Bergen.

Colori e forme che per Dalì si fonderanno con il Tempo e con la sua irrimediabile vacuità: il processo artistico in questo caso nasce precoce e ben definito, grazie anche alla famiglia che mette il piccolo Salvador in condizione di iniziare gli studi d’arte fin da bambino. Forse anche per questo per Dalì l’arte non è tanto un rifugio estremo, bensì un linguaggio interiorizzato e ragionato per comunicare la propria visione di realtà: intangibile e dolorosa, certo, ma capace di trasformarsi e comunicarsi agli altri seppur in forme paradossali e surreali.

Entrambi parlano all'uomo: Munch a quello disperatamente incatenato dentro se stesso, Dalì a quello che attraverso la riflessione filosofica e psicanalitica libera se stesso e guarda in faccia con coraggio, creatività e irriverenza all'assurdo della vita. Quarant'anni non sono nulla in termini di Tempo, nonostante questo accostando questi due grandi artisti si ha la sensazione che a separarli ci sia un abisso: orologi molli ed elefanti raccontano di un tempo relativo ed indefinito che proprio per queste sue caratteristiche assume valore assoluto e liberatorio, mentre l’Urlo straziante, con i suoi colori accesi, annulla quell'unico istante di terrore che è protagonista per negare all'uomo qualsiasi via d’uscita.

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