Il 19 aprile 1911 andava in scena a Montecarlo la prima assoluta de Le spectre de la rose
Je suis le spectre d'une rose que tu portais hier au bal…..
scriveva Theopile Gautier, il poeta romantico della danza, a preludio di un successo senza tempo del 1911 ad opera del genio del primo Novecento Michail Fokine. Il coreografo di San Pietroburgo ha immaginato lo spettro e lo ha condotto nel sogni di una ragazza qualsiasi rientrata da un ballo qualsiasi, coronando quell'idillio con una coreografia unica nel suo genere a quel tempo. In realtà proprio Michail Fokine aveva già abbandonato definitivamente l'Ottocento con un ultimo omaggio proprio al secolo romantico, rifugiandosi fin dentro il personaggio storico della silfide, uno dei simboli per eccellenza dei pallidi personaggi di quelle surreali ambientazioni. Era il 1832 de La silfide di Filippo Taglioni od il 1836 della Sylphiden di August Bournonville poco importava al nostro Michail Fokine autore de Les Sylphides del 1909, ripresa coreografica della sua stessa Chopiniana del 1907. Il primo Novecento era ormai appannaggio della rivoluzione diaghileviana del balletto dove tutto doveva essere esattamente l'opposto di quanto coreografato fino al 1898 con il ballettone Raymonda di Marius Petipa. A quel tempo, Michail Fokine doveva giocoforza sottostare alle nuove regole impartite dal suo impresario Serge Diaghilev e creare nuovi soggetti per il nuovo pubblico della danza e del balletto. E così fu, con la Chopiniana di cui sopra e Le spectre de la rose del 19 aprile 1911.
Da Montecarlo a Parigi Le spectre de la rose ha rivoluzionato il balletto
Il manager curatore de Le spectre de la rose era Serge Diaghilev, padre-padrone dei Ballets Russes che debuttarono con il titolo di Carl Maria von Weber nella città monegasca riprendendo l'orchestrazione di Hector Berlioz del 1841. L'arte per l'arte esaltata dall'impresario si forgiava proprio in quei primissimi anni del Novecento e sarebbe stata ben presto la guida artistica e culturale fino a tutta la metà del secolo, ben oltre la morte di Serge Diaghilev stesso nel 1929 a Venezia. Meriti indiscutibili che segnarono la storia di quei giorni e tant'altra storia del repertorio ancora oggi in scena, con molti titoli divenuti prestissimo masterpiece tra cui proprio Le spectre de la rose. Qui si diceva di una ragazza tornata da un ballo che, molto affaticata, si addormenta su una poltrona. Nel suo sogno, la rosa che ancora tiene tra le dita diventa uno spirito che l'accarezza e danza con lei abbandonandosi ad un afflato d'amore. Giusto in tempo per sparire con il sorgere dell'alba. Un titolo molto semplice, dunque, ma che ha caratterizzato quegli anni per l'estrema eleganza dell'immaginazione coreutica del coreografo Michail Fokine e della prima interpretazione dell'interprete Vaslav Nijinskij ai teatri di Chatelet ed al Palais Garnier de l'Opéra di Parigi. Da lì nacque il mito e la leggenda di Vaslav Nijinskij, indimenticabile interprete e coreografo poi morto di fame, follia e povertà a Londra nel 1950. Il suo testamento di modernità ha prodotto un così grande insegnamento ne Le spectre de la rose che solo i più grandi danzatori delle epoche successive hanno osato con successo riprodurlo nelle scene di tutto il mondo. Da quella rappresentazione monegasca del 19 aprile di novantacinque anni fa.