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Il 12 settembre 1986 moriva Annibale Ruccello, ma il suo teatro è ancora vivo

Trent’anni fa perdeva la vita in un tragico incidente stradale uno dei più importanti esponenti del teatro italiano e napoletano. Per fortuna l’eredità di Annibale Ruccello resta viva nella memoria di amici e collaboratori, ma soprattutto restano i suoi capolavori, da “La cinque rose di Jennifer” a “Ferdinando”.
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Annibale Ruccello
Annibale Ruccello

Trent'anni sono sufficienti per entrare nel mito o per essere dimenticati. Ad Annibale Ruccello non è successo né l'una né l'altra cosa, o forse sono accadute entrambe.

Quanti, nell'Italia di oggi, conoscono l'opera di questo grande scrittore, drammaturgo, attore e regista teatrale, nato a Castellammare di Stabia in provincia di Napoli nel 1956? Molti, ma non abbastanza. Di certo non le masse, nemmeno quelle ristrette che frequentano le sale teatrali. Allo stesso tempo, in questi tre decenni, il teatro di Ruccello è diventata una sorta di pietra miliare, vera e propria drammaturgia dell'anima per tutti coloro che lo hanno conosciuto e che hanno lavorato con lui, o che hanno avuto la fortuna di assistere ai suoi spettacoli quand'era ancora vivo.

"Le cinque rose di Jennifer", "Mamma: piccole tragedie minimali", "Notturno di donna con ospiti", "Anna Cappelli" e, soprattutto, un anno prima della morte sopraggiunta a soli trent'anni in un incidente d'auto, "Ferdinando", probabilmente il suo capolavoro, che all'epoca ottenne importanti riconoscimenti per la qualità drammaturgica e la messinscena. Isa Danieli, musa ispiratrice e destinataria del testo, ha sempre definito questo spettacolo un "fiore di carta" che, conservato tra le pagine di un libro, viene tirato fuori di tanto in tanto e mostrato al pubblico per la sua bellezza.

Il tempo passa, ma il ricordo di Annibale resta intatto in chi gli è sopravvissuto. Così come il suo teatro non perde forza, anzi, resiste ed è grazie al ricordo di amici, conoscenti, spettatori che è diventato parte di quel canone che unisce secoli di tradizione teatrale partenopea al rinnovamento della scena che negli anni Ottanta tanti autori, in Italia e non solo, hanno portato avanti.

Si è soliti citare Enzo Moscato, amico di Ruccello – a cui ha dedicato un testo struggente "Compleanno" – ed esponente di quella stessa generazione che da Napoli è partita alla conquista di un nuovo modo di fare teatro. Oppure Giuseppe Patroni Griffi. La Partenope che in quegli anni cercava di sopravvivere a se stessa dopo il sisma dell'ottanta, e in teatro al grande Eduardo, aveva trovato in questi nuovi riferimenti un modo per rinascere e raccontarsi sul palcoscenico. Tante differenze – più poetica e di matrice filosofica la ricerca di Moscato, antropologica quella di Ruccello – eppure un quadro d'insieme c'era ed era il teatro stesso. Trent'anni dopo tutto, o quasi, è cambiato. Restano però le tracce di chi c'è stato, resta quella fragile immortalità che la letteratura e il teatro possono regalare ai suoi protagonisti, resta il rimpianto di non sapere quello che sarebbe potuto esserci, se la rosa di Annibale non si fosse spezzata così presto.

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Scrittore, sceneggiatore, giornalista. Nato a Napoli nel 1979. Il suo ultimo romanzo è "Le creature" (Rizzoli). Collabora con diverse riviste e quotidiani, è redattore della trasmissione Zazà su Rai Radio 3.
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