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I quadri di Hopper diventano realtà nelle foto di Richard Tuschman

L’americano Richard Tuschman fa rivivere i dipinti di Edward Hopper: stanze in miniatura, modelle vere e Photoshop sono gli ingredienti per l’incantesimo fotografico delle “Hopper Meditations”.
A cura di Gabriella Valente
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Ricostruire la magia dei dipinti di Edward Hopper, farne rivivere il mistero, modernizzarli senza mai perdere l’atmosfera metafisica che li caratterizza: ecco cosa ha fatto Richard Tuschman nelle sue incantevoli “Hopper Meditations”, una serie di fotografie digitali precisamente ispirate ad alcuni dipinti del pittore americano.

Questo fotografo statunitense, già acclamato e pluripremiato, nell’ultimo paio d’anni ha realizzato con pazienza, creatività e passione il “progetto Hopper” che ha fatto il giro del mondo ottenendo un successo sorprendente. I suoi scatti, che riprendono chiaramente alcuni dipinti hopperiani con donne in interni domestici, conservano tutto l’incanto, il silenzio, la malinconia e la sospensione delle opere pittoriche; anzi l’accentuano, ne intensificano la magia ed il mistero, la dimensione metafisica e surreale, l’intimità e l’eleganza.

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C’è da svelare subito la curiosissima tecnica artistica che Tuschman utilizza per immortalare ogni messinscena, perché si tratta di un inimmaginabile lavoro composito che unisce pittura, fotografia digitale e assemblage. Una volta selezionato il dipinto da “riprodurre”, scelto soprattutto per le sue qualità teatrali, l’artista realizza un diorama della stanza dipinta da Hopper, ovvero una riproduzione in miniatura del set che ospita la figura femminile: un plastico che ha le dimensioni di una casa di bambole e che spesso viene “arredato” proprio con i pezzi di quelle casette. Allestite queste mini-stanze, le immortala in un primo scatto fotografico.

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La seconda fase del lavoro coinvolge finalmente modelle in carne e ossa (più raramente modelli): in posa ad imitare le donne del dipinto che stanno interpretando, Richard le fotografa su uno sfondo vuoto. A questo punto ricorre al lavoro digitale, attività in cui Tuschman è specializzato sin dagli anni ’90, quando Photoshop fece la sua prima comparsa: è proprio con quel programma di fotoritocco che l’artista delle “Hopper Meditations” fonde le foto dei diorami con quelle delle modelle. Nei lavori del fotografo statunitense la post-produzione è dunque fondamentale tanto quanto il lavoro preparatorio: è in post-produzione che l’artista, con Photoshop, crea le sue immagini composite, ridimensionando e collocando le figure nel set, ritoccando qualche grinza nel diorama, sistemando colori, contrasti e ombre, bilanciando luci e chiaroscuri.

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Il risultato è di qualità elevatissima e di grande impatto. È vero che lo stile di Hopper ben si presta ad interpretazioni fotografiche, data la sua modernità e le sue inquadrature già ardite, ma Tuschman lo porta a livelli di intensità e bellezza veramente alti: lo stile dei nuovi scatti fonde un raffinato effetto pittorico con una certa lucidità fotografica, fa coesistere meravigliosamente dei fuori fuoco ovattati e delle definizioni brillanti, riuscendo a dare concretezza all’opera del pittore.

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“Ho sempre amato lo stile dei dipinti di Hopper”, dichiara il fotografo, “con pochi mezzi riescono ad affrontare alcuni misteri della mente e complessità della condizione umana. Amo la natura semplice di quei lavori e il loro senso di quiete. Lo stato d’animo dei personaggi sembra oscillare paradossalmente tra sogno e alienazione, tra desiderio e rassegnazione”. Tuschman ama i dipinti di Hopper anche perché vi scova il ricordo delle foto che da bambino ammirava nei vecchi album di famiglia; dunque in quelle scene senza tempo e universali, di silenzio e solitudine, il fotografo sa trovare “il giusto equilibrio tra estraneità e familiarità”.

Per tutte le immagini, Photo credit: Richard Tuschman

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