I Promessi Sposi parlano sardo: merito di un agricoltore di Sassari
All’indomani della pubblicazione, avvenuta una prima volta nel 1827, i Promessi Sposi di Alessandro Manzoni era il libro di maggior successo dell'epoca: quando ancora l'autore era in vita il celebre romanzo era stato già tradotto in quindici lingue. A distanza di più di un secolo e mezzo il suo successo non si arresta e le traduzioni continuano: come quella realizzata da Mario Dedola, originario di Alghero, che ha tradotto la fortunata opera manzoniana in dialetto sardo.
La sua storia ha fatto il giro del web, e in poco tempo l'anziano agricoltore sardo ha conquistato, con il suo lavoro, anche il mondo accademico: l'uomo, giunto alla soglia degli ottant'anni, ha deciso di dedicarsi alla monumentale riscrittura de I Promessi Sposi in un modo molto particolare. Dedola ha tradotto in versi la storia di Renzo e Lucia, trasformando la monumentale prosa di Manzoni in un'opera lunga ben 740 ottave.
Il signor Mario ha fatto tutto da solo, da autodidatta: dal suo piccolo paese vicino Sassari ha lavorato incessantemente al testo traducendone alcune parti anche in logudorese e catalano d'Alghero. Il lavoro, dal titolo “Sos Isposos Promissos” ha guadagnato al signor Mario anche l'attenzione del Centro Nazionale Studi Manzoniani, che lo ha invitato a presenziare ad eventi in onore dello scrittore milanese.
La grande letteratura, in dialetto
Pur essendo una delle opere più famose della storia della letteratura italiana e la più emulata e raccontata, perfino dal cinema, la traduzione sarda de I Promessi Sposi non è la prima a trasformare l’amico linguaggio manzoniano in vernacolo: nel 1974 Alvaro Casartelli realizzò un adattamento del testo in dialetto meneghino, dal titolo “Duu Moros”.
Anche i toscanismi che arricchiscono il celebre Pinocchio di Carlo Collodi sono stati sottoposti a traduzioni dialettali: il romanzo è stato infatti tradotto nel dialetto di Montemontanaro, un piccolo paese nei pressi di Urbino abitato da circa 100 persone: un vero e proprio tesoro, testimonianza di una lingua che gradualmente sta scomparendo.
Ma l'opera letteraria che può vantare più traduzioni dialettali di tutte le altre è senza dubbio la Divina Commedia di Dante Alighieri. L'opera del sommo poeta è stata tradotta in napoletano, calabrese e veneziano. La traduzione calabrese, dal titolo “U'nfiernu, ‘u prigatoriu, ‘u paravisu” e realizzata a metà Ottocento da Salvatore Scervini, fu la prima ed è tutt’ ora l'unica realizzata integralmente, riconosciuta come qualitativamente e poeticamente rilevante nel panorama letterario italiano.
Altro esempio rilevante riconosciuto è quello che fa parlare Dante in veneziano. Realizzata sempre nell'Ottocento da Roberto Cappelli, la traduzione trasforma in questo modo l'incipit: “A meza strada dela vita umana/ Me son trovà drento una selva scura,/ Chè persa mi g’avea la tramontana”.